Salve a tutti, è Il Moro che vi parla!
Ok, lo ammetto, sono stato attirato solo dal titolo:
L'effetto He-Man: come i produttori americani di giocattoli ti vendono i ricordi della tua infanzia.
Che sia uno degli appassionati dei Masters a cui i produttori di giocattoli continuano a vendere prodotti contando sull'effetto nostalgia penso sia chiaro da buona parte del contenuto di questo blog.
Si tratta di un saggio in forma di fumetto. In pratica le didascalie che spiegano l'argomento sono accompagnate da immagini, un buon modo per far diventare lungo quanto un romanzo un argomento di discussione che avrebbe altrimenti occupato poche pagine.
La verità è che sapevo già alla perfezione che le varie riproposizioni, remake, reboot e quant'altro (merchandising in particolare) riguardanti prodotti risalenti a quando la fascia dei 40-50enni di oggi era bambina, fosse niente di più di un'astuta operazione di marketing che fa leva sui sentimenti. Da bambino eri appassionato a qualcosa, da grande cerchi di riprodurre quelle emozioni acquistando ancora gli stessi prodotti che un tempo ti compravano i tuoi genitori, sperando magari di condividere la stessa magia con i tuoi figli. Lo so, lo faccio anch'io, e non essendo scemo mi rendo perfettamente conto del vero scopo di queste riproposizioni: farci su dei soldi, da parte di chi sa perfettamente come funziona la psiche umana e come sfruttarla.
Questo libro si limita a mettere nero su bianco questo concetto spiegandolo con esempi approfonditi, partendo dalla propaganda legata all'arruolamento negli Stati Uniti durante la prima guerra mondiale, che ha dato inizio al concetto di pubblicità come la conosciamo oggi. Quella che prima era semplice presentazione di prodotti, diventa un modo di accattivarsi le simpatie degli acquirenti mostrando non il prodotto ma il vantaggio che questo porta, o associandolo a un particolare concetto. Ci sono esempi interessanti, su tutti lo sfruttamento delle campagne per i diritti femminili per vendere più sigarette alle donne.
Si passa anche da Walt Disney, che con il successo di Topolino ha saputo per primo sfruttare in modo industriale il concetto di merchandising, alle prime forme di pubblicità in televisione e come queste potessero influenzare la coscienza degli spettatori, per mostrare poi come gli stessi metodi della pubblicità siano stati usati anche per influenzare l'opinione pubblica su vicende politiche. Si parla anche dell'inizio delle forme di regolamentazione per la pubblicità, soprattutto quella rivolta ai bambini.
E così si arriva ai cartoni animati fatti apposta per vendere giocattoli, con diversi esempi e spiegazioni su come si è evoluta la storia.
Il punto è: le compagnie creano media con cui influenzare la fantasia dei bambini, e poi vendono loro strumenti con i quali realizzare queste fantasie. L'esempio di Star Wars non è il primo, ma è quello che sfruttò in modo più massiccio questo metodo all'epoca.
C'è spazio anche per curiosità interessanti. Sapete ad esempio che la legge sul copyright in America è stata aggiornata SOLO per aiutare la Disney, altrimenti i diritti per Topolino sarebbero scaduti già nel 1976? E questo è successo due volte, la seconda nel 1998, quando i diritti su Topolino stavano per scadere di nuovo. C'è da chiedersi come mai l'anno scorso non siano riusciti a ripetere il giochetto...
Ovviamente non manca la critica all'industria del giocattolo, colpevole di tarpare l'immaginazione ai bambini. Non ha tutti i torti: gli show televisivi che mostravano gli stessi personaggi dei giocattoli in azione condizionavano, e condizionano, i giochi dei bambini, spingendoli a ripetere quanto visto in TV piuttosto che inventarsi nuove storie. Chiaramente quando i bambini dovevano divertirsi con pupazzi generici non accompagnati da una storia già pronta, scatoloni di cartone e spade di legno la loro immaginazione lavorava molto di più.
In pratica questo saggio non dice nulla che già non sapessi, e che probabilmente sanno molti degli appassionati dei MOTU, in particolare quelli che hanno guardato i documentari del tipo I giocattoli della nostra infanzia. In effetti quando si arriva a parlare dei Masters ci li limita a ripetere quasi del tutto quanto già detto in quel documentario.
Si tratta insomma di un libro abbastanza inutile per chi ha già un certo interesse dell'argomento, che quindi conosce tutti o almeno molti dei fatti citati e ha già fatto tutte o molte delle riflessioni suggerite. Davvero, basta aver già visto il documentario di Netflix di cui sopra e molte cose le sapete già. L'unica cosa è che gli stessi argomenti vengono ritrattati con un occhio più verso la psicologia che porta i bambini a voler comprare i giocattoli che non sulla storia dei giocattoli e basta. Perché si è deciso di fare i cartoni animati in quel modo?
Quando poi si finisce di parlare dei Masters e si passa alla seconda trilogia di Star Wars, allora torniamo un po' di più sull'argomento, andando a focalizzarci sugli aspetti della nostalgia applicata al marketing. C'è spazio anche per la serie 200X dei MOTU, che ha fallito dove hanno avuto successo i film dei Trasformers diretti da Michael Bay.
Anche la tirata finale contro la Disney dice più o meno le stesse cose che tutti i "nerd" hanno detto al bar con gli amici almeno una volta.
Può essere interessante per chi non ne sapeva nulla, ma tendenzialmente immagino che uno che non ne sa nulla è perché non gli interessa, dato che sono tutte informazioni facilmente reperibili altrove. Sarebbe stato più interessante se si fosse scavato di più nei meccanismi psicologici che fanno funzionare questo sistema, andando anche un po' sul tecnico, ma questo è un saggio per la grande maggioranza storico e rivolto a un pubblico generalista, quindi niente.
C'è una conclusione pessimistica, secondo cui i brand attuali, come ad esempio il Trenino Thomas o i Paw Patrol, grazie alle moderne tecnologie hanno un potere di penetrazione infinitamente superiore a quello che avevano i Masters o altre proprietà simili all'epoca. Per questo il loro potere futuro di rivendere gli stessi prodotti agli ex bambini di oggi quando saranno cresciuti sarà ancora maggiore. L'autore però non tiene conto di un aspetto: l'aumento dell'offerta.
Al giorno d'oggi i bambini sono bombardati di centinaia di cartoni diversi, per molti dei quali lo scopo principale NON è vendere giocattoli. Prodotti come Curioso come George, Craig, Lo Straordinario Mondo di Gumball, Teen Titans Go! (per citare quelli che guarda più spesso mio figlio in televisione, e senza andare a contare quelli sulle piattaforme di streaming) non hanno evidenti scopi commerciali (i giocattoli e altro merchandising esistono, ma sono pochi e poco diffusi, per lo più schiacciati dai pupazzi della Marvel derivati dai film, niente di lontanamente paragonabile al fenomeno dei Masters). Perfino un prodotto più smaccatamente commerciale, come la serie animata dei Ninjago, nonostante ogni tanto faccia comparire nuovi veicoli e creature "giocattolizzabili" mantiene sempre una qualità narrativa piuttosto alta, con intrecci complessi e colpi di scena, migliore di quella di molti prodotti meno commerciali.
Ma anche se lo scopo fosse solo quello di vendere prodotti, la quantità di cartoni, serie TV e simili per bambini è enorme, un'offerta infinita che non permette ai bambini di affezionarsi a un singolo brand (di serie animate per bambini guardate insieme a mio figlio parlai qui, qui e qui). Quanto ero piccolo io c'erano solo i Masters, in misura un po' minore i Transformers, il resto a casa mia è passato praticamente inosservato. Non avevo nemmeno lontanamente la scelta che c'è ora. Quando al cinema è uscito Guerre Stellari, è stato un evento epocale perché non si era mai visto nulla di simile. Provate a fare il confronto con gli altri film usciti in quegli anni, vi sembreranno tutti di dieci anni più vecchi, o meglio, era Guerre Stellari a essere dieci anni avanti. I seguiti non potranno mai avere la stessa presa, sui vecchi fan per i motivi illustrati anche in questo libro, sui nuovi perché quando sono usciti erano più o meno in linea con il resto dell'offerta cinematografica del periodo.
Ci affezionavamo a quello perché c'era quello, che magari era nuovo e migliore rispetto a quello che c'era prima, ma anche perché non avevamo tutte queste alternative. E venivano ritrasmessi in continuazione, e noi continuavamo a guardare sempre le stesse puntate decine e decine di volte, imprimendocele ben bene in mente. Ma forse c'era altro? Anche oggi Boing, Cartoonito e simili ritrasmettono sempre le stesse puntate a rotazione, ma mio figlio sa usare YouTube e Netflix molto meglio di me, quindi non è più la stessa cosa, nemmeno un po'.
La mia predizione è che mio figlio da grande non si ritroverà ad essere particolarmente nostalgico verso un prodotto, semplicemente perché non si è mai affezionato tanto a niente, non ha avuto il tempo.
Sì, c'è stato il periodo in cui voleva solo i Gormiti (nuova serie) quando era più piccolo, ma è durato troppo poco e ora non ne vuole più nemmeno sentire parlare (con buona pace delle decine di pupazzi che abbiamo comprato e che ora invecchiano in uno scatolone. Inutile sperare che col tempo acquistino valore come i MOTU, vero?).
Credo che questo modo di fare marketing stia perdendo forza. Non dico che sparirà, ma non è più come un tempo. Per fortuna? Forse sì. Eppure, è bello, almeno per me, avere un'affezione verso qualcosa, perché a me la sensazione che i pubblicitari e rivenditori vari vogliono suscitare piace. Non è bello perdersi nei ricordi ogni tanto? Cosa verrà in mente a mio figlio quando ripenserà alla sua infanzia, se non ha nulla in particolare a cui far aggrappare i ricordi?
Ammetto che anche la momentanea passione di mio figlio per i Gormiti forse è stata un po' anche colpa mia. Memore della mia infanzia con i Masters e delle sensazioni che mi ha lasciato nella vita adulta, l'idea che anche lui si appassionasse a un brand in particolare non mi dispiaceva, quindi non ho mai fatto nulla per scoraggiarlo, per quanto i cartoni facessero pena.
Concludo la tirata con un applauso all'autore di questo saggio a fumetti, che con un'ipocrisia rara è riuscito a vendere un prodotto sfruttando proprio l'effetto che critica all'interno dello stesso. Mi piacerebbe sapere quante copie avrebbe venduto togliendo L'effetto He-Man dal titolo e lasciando solo Come i produttori eccetera. Ha imparato la sua stessa lezione, questo è sicuro.
Il Moro
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