martedì 24 settembre 2024

Opinioni in pillole: The Witcher, i primi tre libri

Salve a tutti, è Il Moro che vi parla!

Raccolgo in questo articolo le opinioni relative ai primi tre audiolibri della saga di Geralt di Rivia, o The Witcher. Li ho ascoltati in tempi diversi, e i commenti che seguono sono stati scritti subito dopo l'ascolto di ognuno. Se trovate delle considerazioni ripetute è per quello.


Il guardiano degli innocenti, di Andrzej Sapkowski recensione
Il guardiano degli innocenti, di Andrzej Sapkowski recensione
Il guardiano degli innocenti, di Andrzej Sapkowski recensione

Il guardiano degli innocenti (Ostatnie życzenie), di Andrzej Sapkowski (1993)

Premetto che non ho mai giocato ai videogiochi della saga di The Witcher (sono piuttosto intollerante verso gli open world e i giochi di ruolo all'occidentale, che ti mandano in giro a fare diecimila missioni secondarie al punto che dopo un po' non ti ricordi nemmeno più la storia principale), né ho mai guardato la serie TV con Henry Cavill. Tra l'altro, sapevate che nel 2002 è stata prodotta in Polonia una serie televisiva di una sola stagione seguita da un film? No? Nemmeno io, ma Wikipedia sì.

Ciò detto, ho ascoltato il primo libro della saga in forma di audiolibro. Un disclaimer all'inizio dichiara che secondo la volontà dell'autore la traduzione è stata effettuata direttamente dal polacco senza passaggi intermedi, quindi i nomi potrebbero differire da quelli sentiti nel videogioco. Bisognerebbe fare così sempre, in effetti.
Si tratta in realtà di una raccolta di sei racconti più uno a fungere da cornice, con Geralt in via di guarigione in un tempio che racconta le sue avventure precedenti.
Dopo aver ascoltato i racconti in questione, posso dire di non aver ben chiaro perché questi libri hanno avuto tanto successo da essere tradotti in mezzo mondo. O meglio, l'ho capito: la casa produttrice del videogioco è polacca, avranno scelto un libro di un certo successo nel loro paese su cui basare la loro saga fantasy, ed è stato il videogioco ad avere successo e a trascinare con sé i libri. Ma i libri in sé, cosa hanno di speciale?

Il guardiano degli innocenti, di Andrzej Sapkowski recensione
Il guardiano degli innocenti, di Andrzej Sapkowski recensione
Il guardiano degli innocenti, di Andrzej Sapkowski recensione
Il guardiano degli innocenti, di Andrzej Sapkowski recensione
Il guardiano degli innocenti, di Andrzej Sapkowski recensione
Il guardiano degli innocenti, di Andrzej Sapkowski recensione

Qui sopra, le copertine delle innumerevoli edizioni polacche di questo volume


Ok, i racconti si discostano un poco dal fantasy pezzente con i ragazzini predestinati, clone di Shannara (che a sua volta era un clone, lo so), che da anni infesta gli scaffali del fantasy in libreria come un'erbaccia incantata. Sono racconti abbastanza interessanti, alcuni più di altri, privi di 'sti cavolo di prescelti e con un target di età leggermente più alto (c'è qualche parolaccia e qualche ammiccamento sessuale appena accennato), ma non dicono nulla che Robert E. Howard non abbia già iniziato a dire novant'anni fa. Meglio.
Il protagonista è abbastanza interessante, il suo rapporto con l'amico Ranuncolo è praticamente lo stesso che c'é tra Zagor e Cico, ma le loro avventure sono funestate da una quantità di chiacchiere davvero esorbitante. Ci sono dei momenti in cui lo Strigo sembra quasi muto (la frase "Geralt non rispose" viene ripetuta decine di volte) e altre in cui parte in delle filippiche in grado di asciugare anche il pelo di un san bernardo impegnato in una missione di soccorso. Risulta un po' scostante anche come carattere, rivelandosi simpatico e brillante quando nell'avventura c'è anche Ranuncolo e una specie di macchina priva di emozioni quando è da solo, ma questo potrebbe essere voluto.

La qualità percepita migliora, e di molto, grazie al bravissimo lettore Riccardo Mei, in grado di cambiare completamente voce da un personaggio all'altro. Anche lui, in realtà, pecca un po' nel trasmettere emozioni quando legge le parti narrate, un po' troppo piatte, ma gliela si perdona.

Probabilmente ascolterò anche il seguito, grazie alla bravura del lettore e perché con gli audiolibri la scelta è abbastanza limitata, ma se dovessi leggerlo probabilmente non andrei avanti con la saga.



La spada del destino,  di Andrzej Sapkowski recensione

La spada del destino (Miecz przeznaczenia), di Andrzej Sapkowski (1990)

Un'altra racconta di 7 racconti. Nonostante siano stati pubblicati prima, si collocano temporalmente dopo quelli de Il guardiano degli innocenti. Diciamo che si nota solo nel fatto che qui dovremmo già sapere chi sono Ranuncolo e Jennefer, che non vengono reintrodotti. Per il resto ogni racconto fa storia a sé.
Per un commento su questo libro e sul lettore dell'audiolibro, potrei tranquillamente copincollare quello della raccolta precedente, quindi potete rileggervi quello, aggiungo giusto un paio di cose.
La prima è che si da più spazio ai sentimenti dello strigo, che spesso, sebbene ci tenga a sembrare un duro granitico, è scosso da forti emozioni, emozioni che in teoria essendo un mutante non dovrebbe provare. Ci si dilunga sulle storie d'amore, in particolare quella tormentata con Jennefer, ma non è l'unica donna per Geralt nella raccolta. Queste digressioni romantiche spesso vanno a discapito dell'avventura e dell'azione, che erano più presenti nella raccolta precedente.

La spada del destino,  di Andrzej Sapkowski recensione
La spada del destino,  di Andrzej Sapkowski recensione
La spada del destino,  di Andrzej Sapkowski recensione
La spada del destino,  di Andrzej Sapkowski recensione
La spada del destino,  di Andrzej Sapkowski recensione
La spada del destino,  di Andrzej Sapkowski recensione

La seconda è che le filippiche sono ancora più lunghe. Praticamente ogni dialogo sembra una piece teatrale, con personaggi che si lanciano in frasi lunghissime, a cui spesso il protagonista non risponde. In pratica dei monologhi lunghi svariati minuti di ascolto interrotti ogni tanto da "Geralt non rispose".
Se davvero questi racconti sono stati scritti prima, questi mi sembrano difetti nella scrittura che sono stati in parte limati nella raccolta successiva, che in realtà è precedente, insomma, quello che è.
La sensazione è che il successo della saga sia dovuto più che altro al fatto che sia diverso dal fantasy per ragazzini con i prescelti ma, come già detto, è una novità solo per chi leggeva solo quello. 
Rimane comunque una certa curiosità di vedere come se la cava l'autore con un romanzo, quindi probabilmente ascolterò anche il prossimo.



Il sangue degli elfi, di Andrzej Sapkowski recensione
Il sangue degli elfi, di Andrzej Sapkowski recensione
Il sangue degli elfi, di Andrzej Sapkowski recensione

Il sangue degli elfi (Krew elfów), di Andrzej Sapkowski (1994).

Mamma mia che due palle questo libro. Questo articolo potrebbe anche finire qui, ma giusto per soddisfare la mia logorrea vi racconterò ancora qualcosa.

La storia di per sé potrebbe essere anche interessante. La bambina che è stata affidata alle cure di Geralt in non so quale dei due volumi precedenti è in effetti una principessa. Geralt la educa come una piccola striga, ma c'è un sacco di gente che la cerca per motivazioni politiche.

Purtroppo questo spunto si traduce in una storia noiosissima, piena di dialoghi lunghissimi, con gente che parla un sacco, tanto che più che dialoghi sembrano svariati monologhi uno dietro l'altro. Dialoghi resi quindi in modo piuttosto teatrale, poco realistico, e il più delle volte sono divagazioni di cui non ci può fregare di meno. Inoltre la vera storia inizia praticamente a metà libro, quasi tutto quello che viene prima è una specie di storia nella storia che ha ben poco a che fare con la vicenda principale.

Questa gente chiacchiera, chiacchiera, e lo fa costantemente in modo pomposo e usando molte più parole di quelle che servirebbero per qualsiasi concetto. Francamente mi è mancato perfino il "Geralt non rispose" della prima raccolta, visto che qui anche lui è molto più avvezzo alla chiacchiera, ancora più che nel secondo volume.

Il sangue degli elfi, di Andrzej Sapkowski recensione
Il sangue degli elfi, di Andrzej Sapkowski recensione
Il sangue degli elfi, di Andrzej Sapkowski recensione
Il sangue degli elfi, di Andrzej Sapkowski recensione
Il sangue degli elfi, di Andrzej Sapkowski recensione
Il sangue degli elfi, di Andrzej Sapkowski recensione

Come già detto in precedenza, il lettore è molto bravo a diversificare le voci, tanto che a momenti sembra veramente che ci sia più di una persona a leggere, ma difetta un po' nella recitazione. Questo in realtà da un certo punto di vista si adatta allo stile della narrazione e dei dialoghi, dall’altro li rende ancora più pesanti da digerire.

E ovviamente, dopo 12 ore e 23 minuti di chiacchiere, il libro non finisce.
Non viene portato a conclusione nemmeno mezzo filone narrativo. Semplicemente la storia si interrompe a metà, anzi forse nemmeno a metà visto che di libri ce ne sono sei o sette. Ma non ci penso nemmeno a proseguire, ora vado a vedere se su Wikipedia c'è la trama dei seguiti, giusto per curiosità.

...e infatti Wikipedia mi informa che i romanzi sono tutti collegati. Come siamo passati da raccolte di racconti slegati l'uno dall'altro a una sola storia di millemila pagine? Grazie ma no, grazie, mi faccio bastare i riassunti su Wikipedia, tanto svelano sempre anche i finali. 
Questa storia in particolare dura cinque libri, poi ne è uscito un altro che però narra un'altra avventura di Geralt ambientata prima che conoscesse la ragazzina, quindi ai tempi della prima raccolta di racconti.
A leggerne i riassunti, il proseguio della storia appare interessante come lo appariva inizialmente quella di questo libro. E' sempre un fantasy, per quanto una versione più adulta. C'è sempre un predestinato, che in questo caso non è il protagonista ma la ragazzina che ha adottato (sì, il predestinato è arrivato anche qui, dopo aver schivato i racconti), con il classico contorno di regni e maghi malvagi. Ma l'essere per l'appunto più "adulto" comporta che il tema è trattato in modo più complesso, che spesso entra nel dettaglio dei rapporti politici tra i regni e in considerazioni filosofiche o sociologiche (a livello di chiacchiere da osteria, comunque), che i cattivi abbiano le loro motivazioni e non siano banali demoni malvagi "perché sì" (sì, poi ogni tanto c'è qualche scena di sesso, qualche combattimento sanguinoso e qualche parolaccia, ma sono rari).
Se in teoria è tutto un po' più interessante del fantasy medio, laddove per "fantasy" si intende quello tolkeniano con maghi, elfi e creature varie, una volta su carta risulta tutto pallosissimo, un brodo allungato all'inverosimile per stirare in cinque libri una storia che probabilmente si poteva far stare in uno o due.

Posso quindi dire che non mi è del tutto dispiaciuto ascoltare le due raccolte di racconti, per quanto ci sia di meglio in giro, ma che i romanzi è meglio perderli che trovarli. A questo punto è evidente che il successo della saga è dovuto solo alla fama raggiunta dai videogiochi, a cui non ho mai giocato perché alla mia età non posso permettermi di perdermi in giochi lunghi decine di ore con centinaia di inutili missioni secondarie, ma mi dicono che siano effettivamente molto belli.
Visto che non mi è venuta voglia nemmeno di recuperare una delle due serie tv, direi che il mio rapporto con The Witcher può tranquillamente interrompersi qui.

Il Moro

Gli altri romanzi fantasy di cui ho parlato nel blog

martedì 17 settembre 2024

Opinioni in pillole, film con Nicolas Cage: Mandy, Dream Scenario, Longlegs

 Salve a tutti, è Il Moro che vi parla!

Ecco un altro articolo della serie "opinioni in pillole", dove raccolgo commenti più o meno brevi per cose che ho visto/letto/giocato. Questo perché sempre più spesso mi capita di voler parlare di qualcosa e scriverne un commento, che però risulta troppo corto per farne un articolo a sé stante. 
Stavolta metto insieme tre film con Nicolas Cage, che però oltre all'attore hanno ben poco in comune tra di loro. Li ho visti a diverso tempo di distanza e i commenti sono stati scritti subito dopo la visione per poi raccoglierli in attesa di farne un articolo, per cui potrebbero risalire anche a diverso tempo fa.


Mandy nicholas cage recensione

Mandy (2018)

Mandy è uno strano film, o meglio, vuole essere a tutti i costi un film "strano". Un revenge movie con Nicolas Cage che fa quello che l'ha reso più famoso al di fuori dei film, la "cage rage" i cui meme spopolano sui social. E qui Cage si incazza di brutto.

La prima metà del film presenta eventi drammatici, con una coppia presa di mira da una setta di fanatici religiosi. Poi arriva la metà del film, e arriva la vendetta di un arrabbiatissimo e sporchissimo Nicolas Cage che fa salire la sua recitazione due metri sopra le righe, senza però arrivare al punto da essere ridicolo. Anzi, le scene in cui si dispera sono altamente emotive e mi sembrano una rappresentazione del dolore più che valida, scene in cui fa uscire tutto il talento di cui è dotato e che in alcuni film sembra quasi nascondere. Perché alla fine gli attori devi anche saperli usare.

martedì 10 settembre 2024

Serie animate per adulti: Hazbin Hotel, Blue Eye Samurai, Primal

Salve a tutti, è Il Moro che vi parla!

Ecco un altro articolo della serie "opinioni in pillole", dove raccolgo commenti più o meno brevi per cose che ho visto/letto/giocato. Questo perché mi capita di voler parlare di qualcosa e scriverne un commento, che però risulta troppo corto per farne un articolo a sé stante. 
Questa volta ho messo insieme tre serie animate destinate a un pubblico adulto, che sia per il tono, per le tematiche, per la violenza o per le tre cose insieme. Questa non è roba per bambini!


Hazbin Hotel recensione

Hazbin Hotel

Non ho capito bene la storia di questa serie. C'è un episodio pilota del 2019, poi non se ne è più parlato. Ma nel frattempo è uscito uno spin-off della serie disponibile gratuitamente su YouTube (anche in italiano, anzi è più facile da trovare di quello in lingua originale) intitolato Helluva Boss. Pur essendo già alla seconda stagione, per un totale di 20 episodi, Helluva Boss continua ad essere considerata uno spin off di una serie uscita dopo e molto più corta (anche se gli episodi sono più lunghi).
Sia come sia, gli 8 episodi di Hazbin Hotel sono su Prime compresi nell'abbonamento base, e al momento in cui scrivo queste righe stanno avendo molto successo, e ispirando un mucchio di cosplayer.

La trama: all'inferno non sembra esserci traccia delle classiche torture e punizioni per i dannati, semplicemente chi ci finisce si ritrova trasfigurato in strane creature e per il resto è più o meno come Sin City o qualunque sia la vostra ambientazione "noir" di riferimento, dove tutti sono sempre arrabbiati, non esiste polizia e a comandare sono i gangster. La cosa peggiore che succede all'inferno è il "giorno dello sterminio", che avviene una volta all'anno e durante il quale milizie celesti scendono all'inferno ed eliminano brutalmente qualche migliaio di dannati per "limitare la sovrappopolazione", dicono. Non ci è dato sapere cosa succede a chi muore di nuovo quando viene ucciso all'inferno, presumo che si limiti a scomparire dall'esistenza.
La dolce figlia di Lucifero è stufa di questa situazione, e ha aperto un hotel nel quale ospita dannati che vogliono tentare, attraverso appositi esercizi, di mutare la loro situazione e ascendere al paradiso, avvenimento del tutto inusitato.
Seguono casini.

Hazbin Hotel recensione

Molti parlano di questa serie per i motivi sbagliati: tre degli unici quattro personaggi di cui conosciamo con certezza l'orientamento sessuale sono omosessuali, e gli altri sembrano tutti bisessuali o comunque abbastanza ambigui. Quindi, se ne parla più per lodare o per condannare questa scelta che per qualsiasi altro motivo. Ora, è chiaro che mettere dentro un sacco di personaggi lgbtqsupersayan+ è un modo per incontrare le simpatie di una certa parte del pubblico, e allo stesso tempo per attirare le antipatie di un altro tipo di pubblico, che va sempre bene per farsi pubblicità. Se i personaggi fossero tutti eterosessuali la storia non cambierebbe di una virgola. Almeno non ci vengono date lezionicine morali come in altri prodotti simili, per fortuna.
Giudicare una serie per il marketing non mi sembra il metro di giudizio migliore, quindi ho deciso di sbattermene altamente.

Piuttosto è importante sottolineare che Hazbin Hotel è una serie musical, il che significa che in ogni episodio ci sono due canzoni. Io amo i musical, quindi mi sta più che bene. Le canzoni sono sempre orecchiabili, alcune belle, nessuna particolarmente memorabile anche perché sono tutte integrate nella trama e prese da sole non hanno senso.
Animazione di tipo tradizionale, con uno stile di disegno ipercolorato e iperdinamico, con personaggi schizzatissimi che si agitano un sacco. E' il suo stile, ma non è detto che sia un pregio: L'ho vista in inglese, ma ho dovuto mettere i sottotitoli in inglese perché quelli in italiano ricalcano il doppiaggio in italiano travisando quindi i testi delle canzoni, ma così dovevo stare più attento ai sottotitoli perdendomi a volte quello che stava succedendo a schermo, dato che è tutto movimentatissimo e non sempre immediato come lettura, utilizzando un numero limitato di colori. 
Il design dell'inferno è in grado di raccontare molto di sé stesso con i soli dettagli sullo sfondo, ma è soprattutto quello dei personaggi a intrigare, talmente sono diversi tra di loro e ultraespressivi. Ho adorato in particolare quello degli angeli, che con tutti quegli occhi richiamano i meme della serie "angeli biblicamente accurati". 
Spicca tra gli altri il personaggio di Alastor, il sogghignante "demone della radio" (sulla cui voce è proprio applicato l'effetto come se stesse parlando attraverso una vecchia radio), che sta tra i "buoni" ma ha evidentemente i suoi scopi, contrapposto al demone-gangster della televisione.

Insomma un'ottima serie, ma non perfetta: lo stile schizzato non è che debba piacere a tutti, le parti che vorrebbero essere comiche non è che facciano poi così ridere, le canzoni non sono tutte allo stesso livello, e sebbene la trama abbia delle premesse intriganti lo svolgimento manca di originalità.

Non qualcosa che mi ricorderò a lungo, ma una visione più che godibile. Purtroppo è evidentemente una "prima stagione", rimangono da analizzare tutte le conseguenze di quello che succede alla fine, e molti snodi narrativi restano aperti. Dovremmo esserci abituati, ma preferirei vedere qualcosa che finisce, ogni tanto. 

E ora mi cercherò anche Helluva Boss.


Blue Eye samurai recensione

Blue Eye samurai

Blue Eye Samurai è uno di quei successi immediati di Netflix, che fanno un botto di ascolti nei primi giorni facendo parlare di sé un po' tutti. Personalmente, sono convinto che queste serie (più le serie che i film, in effetti) che hanno queste botte di successo immediato debbano la loro fortuna non alla loro qualità, ma al fatto che Netflix le sbatta in prima pagina e tra i consigliati per diversi giorni di fila, così che tutti vengano incuriositi e provino a iniziarla.
Questo Blue Eye Samurai, in particolare, è un tale concentrato di cliché, topoi narrativi e situazioni già viste altre mille volte da sembrare scritta da un'intelligenza artificiale. Coproduzione franco-statunitense, scritta da Michael Green (noto per essere lo sceneggiatore di Logan Blade Runner 2049, tra le altre cose) insieme alla moglie Amber Noizumi, che è per metà orientale (credo giapponese, ma non ne sono sicuro). Americana ma di origini orientali è anche la quasi totalità del cast dei doppiatori, tra i quali vanno segnalati almeno George Takei, Marc Dacascos e Cary-Hiroyuki, lo Shang Tsung del Mortal Kombat del 1995.
Sarà tutta questa orientalità di seconda mano, sarà l'algoritmo di Netflix che pensa che se una storia ha funzionato una volta funzionerà anche altre trecento, ma tutto quello che si vede a schermo appare come una rivisitazione degli schemi narrativi dei chambara giapponesi, o delle precedenti rivisitazioni degli stessi da parte del cinema americano. 
Vuole essere un omaggio o una scopiazzatura? Un ritorno al passato per gli appassionati o una scrittura che non osa tentare nuove strade? Direi che è uno di quei casi in cui la bellezza sta negli occhi di guarda.

Andiamo un po' meglio quando il personaggio di Akemi, la principessa che non vuole accettare il marito impostole dal padre, diventa più importante all'interno della narrazione. Meglio perché la sua storia è un po' più interessante e articolata di quella principale, ma anche qui non è che brilliamo per originalità.

Blue Eye samurai recensione

Oltretutto la serie è troppo lenta, e intendo proprio lenta, soprattutto nelle prime puntate: l'ho guardata tutta a 1.25x di velocità, e mi è sempre sembrata la velocità giusta. Lunghe inquadrature poco significative, di solito della protagonista che cammina in mezzo alla gente che dovrebbero forse dimostrare come lei fenda l'esistenza passando nella società rimanendo però sempre un'aliena, ci mettono davvero poco a stancare. Velocizzando un po' il tutto e senza togliere niente si sarebbero potuti risparmiare almeno uno o due episodi senza intaccare minamamente la trama, e ottenendo comunque lo stesso effetto. 

L'ho comunque guardata fino in fondo, il che significa che proprio schifo non mi ha fatto. Non è che si debba essere originali per forza, la serie ha delle gradevoli scene di combattimento (ma quelle di sesso fanno un po' schifo), l'animazione in CGI mista 2 e 3D è tecnicamente ottima,  e in generale intrattiene, sempre che si aumenti la velocità di riproduzione. L'ultima puntata, con l'incendio, è poi particolarmente gradevole.

Ovviamente, anche qui la storia non finisce. E' abbastanza chiaro fin da subito (Mizu dice di aver quattro obbiettivi ma si parla sempre solo di uno, chiaro che gli altri sono per le prossime stagioni), ed è quello che ci aspettiamo da una piattaforma di streaming, ma, ribadisco, ogni tanto mi piacerebbe anche guardare qualcosa che finisce. Comunque l'ultima puntata una certa voglia di vedere il seguito me l'ha lasciata, quindi direi non è stato male in generale.
Il punto è che quando tutti gridano al capolavoro poi ci si crea delle aspettative. Questa serie non è male, se non da fastidio la mancanza di originalità, ma i capolavori sono diversi.

Segnalo l'articolo del Zinefilo che confuta l'attendibilità storica della serie per quanto riguarda la presenza dei fucili.


Primal recensione

Primal

Genndy Tartakovsky è un regista e sceneggiatore specializzato in cartoni animati. Di suo ho visto i tre Hotel Transilvania, ma nemmeno una delle sue serie animate, fino a Primal. E ora mi sento moralmente obbligato a guardare almeno Samurai Jack, che mi sembra quella più stilisticamente affine a questo gioiello che è Primal

Il succo di Primal è: le avventure di un uomo preistorico e di un dinosauro, uniti dal dolore per dei lutti familiari. Dopo aver perso coloro che amavano, decidono di continuare insieme la loro lotta per la sopravvivenza, vagando in cerca di qualcosa che non sanno nemmeno cosa sia.
Sì, qui umani e dinosauri convivono, in barba alla realtà storica. A questo proposito, due considerazioni: la prima è che non è l'unica cosa "strana" che succede, ci sono stregoni e magie, i dinosauri sono intelligenti quasi quanto gli umani, eccetera; la seconda è che a volte si deve anche smettere di fare i rompicoglioni e godersi la storia.

E che storia. Due stagioni per un totale di 22 episodi, e la storia finisce qui, non credo che una terza stagione sia mai stata nei piani. Finalmente!
Tartakovsky (sì, il nome lo copincollo ogni volta, lo ammetto) produce una serie quasi sperimentale, totalmente senza parole (a parte una puntata), cruda, violenta, con echi dallo sword and sorcery, adulta in molti sensi, con lunghi silenzi e momenti di contemplazione. Quello che ne esce è una serie fortemente emotiva, nel senso che è in grado di creare forti emozioni in chi la guarda, che appassiona e crea una forte affezione verso i suoi personaggi. L'evoluzione che avviene nella seconda stagione, poi, fa raggiungere nuove vette a una serie già splendida. Alcune puntate sono destinate a piantarsi nel cuore dello spettatore.

Consigliatissima, se non la guardate siete dei primitivi. 

Il Moro

Le altre serie animate di cui ho parlato sul blog

martedì 3 settembre 2024

Dopo tanto (tanto) tempo, un nuovo volume per Ucrònia: Moto Perpetuo



Salve a tutti, è Il Moro che vi parla!

E' passato un secolo o giù di lì da quando ho pubblicato l'ultimo volume di Ucrònia. 
Svariati problemi mi hanno fatto procrastinare il rilascio della continuazione, e se la pigrizia e un certo "blocco dello scrittore" non sono i minori di questi problemi posso almeno dire che non sono gli unici. 

Sia come sia, ora siamo qui, con un nuovo volume per voi. Lo dico da subito: non so quando verranno pubblicati i prossimi, sono quasi sicuro che ci vorrà molto meno tempo, ma non prometto nulla. 

Vabbè, torniamo a bomba e facciamolo con un riepilogo:

il sito web di Ucrònia
la pagina del sito dedicata a  Moto Perpetuo
tutti i precedenti post relativi a Ucrònia su questo blog

Ed ecco la sinossi, quarta di copertina o chiamatela come vi pare, di Moto Perpetuo

Il pellegrinaggio rituale a La Mecca è uno dei momenti più sacri dell'Islam, oltre al momento in cui affluiscono in città milioni di fedeli. Proprio approfittando di questa confusione due gruppi appartenenti a fazioni opposte, la decuria romana guidata dall'ex gladiatore Vinicius e la spedizione mongola a cui appartiene anche Tumur, ora in possesso dell'armatura che fu del Prete Gianni, convergono a La Mecca con il medesimo obbiettivo, la prodigiosa invenzione dell'arabo Al-Jazari: il moto perpetuo. Intanto, dall'altra parte del mondo, nelle terre che un giorno forse si chiameranno America, una giovane regina egizia in esilio viene in contatto con le usanze e gli strani poteri dei nativi, e conosce da vicino gli abitanti della misteriosa Cupola...

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