Salve a tutti, è Il Moro che vi parla!
Un altro articolo in cui metto insieme opinioni brevi, in questo caso neanche poi tanto, su cose che ho visto/letto/giocato e a cui non mi andava di dedicare articoli più lunghi e dettagliati. Di solito cerco di mettere insieme i prodotti per argomenti o similitudini varie, ma stavolta avevo lì questi due commenti che mi avanzavano e che non hanno praticamente nulla in comune se non l'essere degli action/adventure in terza persona. Beccateveli comunque.
A plague's tale: innocence.
La cosa che colpisce immediatamente di questo gioco e l'interessante ambientazione: siamo infatti nel 1300, nel momento in cui L'Europa è stata colpita dalla piaga della peste nera. Se andiamo a vedere i dati storici quell'epidemia si portò via un terzo degli abitanti dell'Europa, un evento che ha cambiato la storia, provocando oltre a una crisi umanitaria anche una crisi economica senza precedenti. A plague's tale: innocence ci porta nel pieno di quel terribile periodo, facendosi respirare l'atmosfera di paura e di sospetto serpeggiante tra la gente.
Dal punto di vista del gameplay, il gioco presenta delle sezioni stealth nelle quali dobbiamo attraversare zone infestate di soldati senza farci vedere, alternate a delle sezioni con degli enigmi ambientali, basate tutti sulla luce che è l'unico modo di tenere lontane le orde di migliaia di ratti che infestano questa regione della Francia.
Ratti, ratti ovunque: questa è la principale caratteristica del gioco, ratti a milioni che ci divoreranno in un attimo non appena usciremo dal raggio di una fonte di luce.
Il gameplay, in realtà, si può definire interessante, abbastanza bello ma non eccezionale. Le fasi stealth sono piuttosto rigide: in molti giochi stealth ci vengono date diverse possibilità, diverse modalità con cui affrontare una sezione, ci viene data la possibilità di scegliere tra diversi tipi di approccio. Qui invece bisogna fare come dice il gioco e basta, trovare il metodo giusto, l'ordine giusto con cui affrontare i nemici, il percorso giusto, insomma c'è meno libertà di azione che non, ad esempio, in un Dishonored. Inoltre la nostra protagonista non è un agente segreto addestrato, è una che è brava a usare la fionda e finita lì, quindi le sue possibilità di attacco sono limitate: in pratica può tirare vari tipi di proiettili con la fionda addosso ai nemici o lanciare oggetti per distrarli. Ma non possiamo scegliere in base alla nostra preferenza, dobbiamo fare come previsto dal gioco o ci rimaniamo secchi e basta.
Da segnalare anche un sistema di controllo non perfetto, nelle situazioni più concitate è difficile centrare qualcuno con la fionda nonostante la mira semiautomatica (meno male che su PC si può passare a usare il mouse in qualsiasi momento anche mentre si sta giocando col joypad) così come cambiare rapidamente il tipo di munizioni.
Per quanto riguarda gli engmi ambientali, proprio per la natura del gioco che ci chiede sempre di confrontarci con ratti e fonti di luce, tendono dopo un po' ad assomigliarsi tutti. Sì, siamo in aree sempre diverse, ma sono diversi modi di mixare gli stessi ingredienti: luce e ratti, ratti e luce, per lo più si tratta di trovare il prossimo fuoco da accendere o muoversi abbastanza in fretta da arrivare alla prossima fonte di luce prima che si esaurisca la torcia che teniamo in mano. Il che non significa che non si creino a volte situazioni assolutamente inquietanti e spettacolari, questa campagna distrutta e infestata da nemici inumani e incomprensibili, la splendida gestione dell'illuminazione dal punto di vista grafico (non ci si poteva aspettare niente di meno da un gioco che ne fa una componente preponderante del gameplay), i luoghi angusti in cui a volte siamo costretti a infilarci, tutto risulta davvero ben realizzato e capace di trasmettere l'inquietudine provata dalla protagonista.
Dove però questo gioco vince a mani basse è la trama. A plague's tale: innocence è un gioco fortemente "story driven", che conta sulla forza della storia e dei personaggi per invogliarci a continuare a giocare. C'è l'elemento soprannaturale, ma viene astutamente tenuto sottotraccia, più un sospetto che una realtà, almeno fino agli ultimi capitoli. Il mistero che si svela lentamente, mentre un bambino e una ragazza vengono travolti dagli eventi, trovandosi di colpo a dover sopravvivere non solo a un ambiente ostile come quello dove si è scatenata la piaga dei ratti e della peste, ma anche a personaggi terribili e potenti come potevano essere le massime autorità dell'inquisizione a quel tempo che complottano per catturarli.
Non è una storia perfetta, qualcosa di più poteva essere fatto per i personaggi secondari, ma è comunque appassionante e ben integrata nel gameplay. In tal senso emblematico è l'uso della parola "innocence" del titolo, perché la storia ruota intorno alla perdita dell'innocenza dei due giovani testimoni e perfino attori di eventi orribili.
Insomma questo gioco, pur con tutti i suoi difetti, mi è piaciuto molto. E' uscito un seguito, A plague's tale: requiem, che probabilmente non giocherò mai per l'impotenza del mio PC, che continua la storia dei due ragazzi. In effetti a fine gioco si sente che c'è ancora qualcosa da raccontare, ma il finale è comunque soddisfacente e la storia può considerarsi conclusa. E poi, nel sequel giocoforza ci sarà l'elemento soprannaturale fin da subito, il che probabilmente farà perdere parte del fascino alla storia.
Gioco consigliato, soprattutto se, come me, riuscite ad accaparrarvelo gratis grazie alle promozioni dell'Epic Store!
Death stranding
L'ultimo lavoro della superstar Hideo Kojima, probabilmente il designer di videogiochi più famoso del mondo al momento. Già solo grazie a questo Death Stranding ha avuto un lancio pubblicitario della madonna, e molte (non tutte) le recensioni l'hanno salutato come la nuova venuta del Messia. Non tutte, appunto, e neanche questa.
Siamo in un futuro post-apocalittico, o forse è più giusto dire solo apocalittico visto che i casini sono ancora in corso. I dettagli dell'ambientazione si scoprono man mano che si va avanti, comunque ci sono in giro fantasmi assassini e un botto di altre stramberie, spesso abbastanza surreali.
C'è una sensazione straniante, questa storia così profondamente "giapponese", scritta con lo stile e le tematiche tipiche degli anime di fantascienza (creature bizzarre dall'aspetto che sfida ogni logica evoluzionistica, oggetti e persone che fluttuano, quel modo di darti le informazioni un po' per volta senza bisogno di spiegoni che i giapponesi padroneggiano e gli americani non hanno mai imparato, una certa tecnica registica nelle scene più horror...), ma ambientata in America con attori americani (per lo più provenienti da serie TV).
Questo è un gioco indeciso: non sa se essere un videogioco o una serie TV. Anzi, cerchiamo di essere più precisi: non sa se essere un videogioco noioso o una serie TV noiosa. Su una cosa però è d'accordo con se stesso: l'importante è essere noioso. Bersaglio centrato.
I filmati possono arrivare tranquillamente a superare il quarto d'ora quando non mezz'ora, durante i quali non si può fare pausa né salvare la partita. Filmati oltretutto abbastanza noiosi, poche efficaci scene horror annegate in un mare di chiacchiere tra personaggi imbalsamati e monoespressivi. I volti dei personaggi sono molto dettagliati e replicano perfettamente quelli degli attori su cui sono modellati, tanto che risulta facile dimenticarsi che si tratta di modelli poligonali. Però lo sono, e quindi la gamma delle loro espressioni è per forza di cose limitata, tanto più che il gioco ha un budget limitato rispetto ai tripla A più blasonati. Il cervello, però, continua a essere ingannato, e viene sempre da pensare che sti attori abbiano una sola espressione. Ora quindi tu, designer, se sai di avere un limite tecnico, perché fai un gioco che sembra fatto apposta per mostrarlo il più possibile, tenendo sempre in primo piano il faccione granitico del tuo protagonista, incapace di muovere un sopracciglio anche mentre gli muore la madre tra le braccia? Come è possibile che mi sembrassero più espressivi i cubettoni dei giochi della playstation 1 (non esageriamo, dai, facciamo Playstation 2)?
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Scusate, due espressioni: con gli occhiali e senza. |
Per quanto riguarda il gameplay, quando non si guardano filmati quello che si fa per quasi tutto il tempo è camminare su terreni sconnessi con uno zaino pesante a spalle. Bisogna giostrarsi con le levette dorsali per mantenere l'equilibrio, perché quando lo zaino è troppo pesante il personaggio tende a sbilanciarsi, e bisogna premere i tasti per ribilanciarlo. Ci sono dei punti dove bisogna arrampicarsi, guadare dei fiumi, ma per lo più si cammina in mezzo ai sassi. Dai trailer si vedono delle sezioni dove il protagonista prende un fucile e spara a qualcuno, ma non sono arrivato a quel punto, mi sono stufato prima. Una sola volta prima di lasciar perdere il gioco ho incontrato dei nemici, una specie di fantasmi invisibili che ci sentono camminare quindi quando compaiono bisogna camminare accovacciati cercando di tenerci lontani. Abbiamo un radar che ci indica il più vicino, quindi basta andare sempre dalla parte opposta. Alla fine mi hanno beccato lo stesso ma ho iniziato a saltellare come un matto e sono riuscito a scappare lo stesso.
Death stranding è un gioco con delle profonde implicazioni psicologiche, filosofiche e sociologiche nella trama. Può portare a considerazioni e pensieri intriganti, anche se il principale leit motiv è un banalotto "insieme siamo più forti". Per questo, è un gioco che è impossibile sconsigliare, perché è un gioco diverso dalla norma, che cerca nuove strade nel tentativo di creare un suo modo di raccontare che si trovi a metà strada tra il videogioco e il film. Ma non è neanche un gioco da consigliare, perché invece di trovare questa nuova strada si limita ad appiccicare insieme quelle due, e il risultato è il quadrato della noia. No, non l'ho finito, sono arrivato a malapena 5 ore, di cui credo tre di filmati e due di passeggiate per le sassaie (percepite 18), con un unico incontro con degli avversari. Mi sono bastate per farmi la mia opinione e scriverla qui, tanto non sono un recensore stipendiato e quindi anche se questa opinione è falsata dall'aver visto una porzione di gioco relativamente piccola, posso scriverla lo stesso.
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Pietraie, pietraie, pietraie. |
Quando leggete le mie opinioni, tenete conto anche di una cosa: sono vecchio e non ho più tutto il tempo che voglio per giocare ai videogiochi, quindi gli open world, che ti fanno perdere ore per missioncine minuscole con ricompense inutili, non riesco più a sopportarli. Continuo a provarci, un po' perché ormai va di moda quello ed è difficile trovare un gioco che non sia, almeno in parte, un open world; un po' perché mi fido (troppo) di opinioni altrui o nel gioco c'è qualcos'altro che mi intriga (non ultimo il fatto che ho preso anche questo gratis grazie alle promozioni dell'Epic Games Store). Continuo a provarci, ma alla fine mollo sempre.Se al contrario di me amate gli open world e non vi secca che per la maggior parte del gioco non farete altro che camminare in mezzo alle pietre, fateci pure più di un pensiero.
Il Moro
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