martedì 25 novembre 2025

Libri così così di autori famosi: Se Scorre Il Sangue, La Fine Del Mondo E Il Paese Delle Meraviglie, Ora E Per Sempre

Salve a tutti, è Il Moro che vi parla!

Già da un po' faccio quasi solo più post multipli, in cui parlo di diversi prodotti accomunati da qualcosa, che sia il genere, l'autore, il protagonista, quello che mi gira insomma. Questi li ho accumulati per un po', in attesa di inserirli in un post insieme a qualcos'altro con cui avessero qualche affinità, ma la cosa stava andando per le lunghe. Finché non mi è venuto il colpo di genio, e quindi ecco a voi tre libri di autori molto famosi ma che nonostante questo non sono un granché. Scritti bene, eh. Ma non un granché lo stesso.



Se scorre il sangue, di Stephen King (2020)

Si dice spesso che Stephen King è talmente bravo a scrivere che potrebbe rendere appassionante anche la sua lista della spesa. Quello che si dice meno spesso è che quello che scrive negli ultimi anni è raramente più appassionante di una lista della spesa.

Una nuova raccolta di racconti lunghi o romanzi brevi che dir si voglia, sullo stile di Quattro dopo mezzanotte

Il primo racconto della raccolta, Il telefono del signor Harrigan, è praticamente la storia della vita di un ragazzo, raccontata anche abbastanza nel dettaglio, dalla giovane età fino alla maturità. Una storia in cui non succede praticamente niente di interessante, ma tutto quel niente è scritto molto bene. Ogni tanto Stephen King si ricorda di chiamarsi Stephen King e ci fa il piacere di inserire qualche vago elemento horror nella sua storia di niente scritta molto bene. Due palle, ma scritte bene.

Il secondo racconto La vita di Chuck, inizia con un primo atto interessante e perfettamente leggibile ed efficace come racconto a sé stante. Poi, Stephen King ha avuto la brillante idea di aggiungere altri due atti perfettamente inutili su eventi della vita di 'sto Chuck che non interessano a nessuno e che non hanno nemmeno particolare attinenza con quanto raccontato nel primo atto. Quanta carta sprecata. Scritta bene, eh, ma sprecata lo stesso. Consiglio di leggere solo il primo atto e poi passare oltre.

Se scorre il sangue Stephen King (2020) recensione
Se scorre il sangue Stephen King (2020) recensione
Se scorre il sangue Stephen King (2020) recensione

Il terzo racconto, Se scorre il sangue, è quello che da il titolo alla raccolta, e per fortuna siamo ad un altro livello rispetto ai primi due. Ho capito che i personaggi ritornano da un precedente romanzo di King, che però non ricordo di aver letto. Comunque è perfettamente comprensibile, e parla dell'indagine da parte della protagonista su un terribile attentato, un'indagine che lei intraprende da sola, seguendo il suo istinto e una pista labilissima che però le ricorda qualcosa dal suo caso precedente. Anche qui King si dilunga e fa le sue brave digressioni che non mandano avanti la trama, ma sono quelle caratteristiche della narrativa kinghiana che servono ad approfondire i personaggi, piuttosto che ad allungare la storia.
Certo, buona parte del racconto avrebbe potuto essere comunque tagliato senza perdere nulla (facciamo un terzo?), ma la sensazione di carta sprecata è decisamente inferiore che con i primi due racconti.

Il quarto raccolto, Ratto, e un'altra di quelle storie in cui Stephen King si prende un tempo mostruosamente lungo per farci affezionare il personaggio, farci entrare nell'ambientazione e nella testa nel cuore del suo protagonista. E funziona, perché effettivamente siamo davvero lì con lui mentre va a isolarsi come un idiota in un capanno in mezzo ai monti per tentare di scrivere un libro, ma poi la storia che è il vero fulcro del racconto ha uno spazio enormemente inferiore alla parte introduttiva. Inoltre anche il finale è, come spesso capita con Stephen King, insoddisfacente. È giusto interessante imparare qualcosa sul procedimento creativo di un racconto, visto che il protagonista sì premura di darci la sua opinione in merito, ma per il resto il racconto, per quanto, guarda un po', ben scritto, è assolutamente dimenticabile e abbastanza inutile.



La fine del mondo e il paese delle meraviglie, di Haruki Murakami (1985) recensione
La fine del mondo e il paese delle meraviglie, di Haruki Murakami (1985) recensione
La fine del mondo e il paese delle meraviglie, di Haruki Murakami (1985) recensione

La fine del mondo e il paese delle meraviglie, di Haruki Murakami (1985)

Il libro, uscito nel 1985 ma arrivato in Italia solo nel 2003, si svolge su due piani paralleli, due storie che scorrono ognuna per conto suo, addirittura ambietnate in mondi diversi, ma che presentano dei punti di contatto negli svolgimenti. Entrambi i protagonisti hanno a che fare con dei teschi di animali, per dirne una.
Da una parte abbiamo una Tokio che presenta sia elementi futuristici che retrò, in cui un uomo con particolari capacità di analisi dei dati viene interpellato per un lavoro; dall'altra parte un mondo simil-fantasy in cui un uomo entra in una città da cui non si può uscire, circondata da muri invalicabili, nella quale viene separato dalla sua ombra e viene assunto come nuovo bibliotecario.
La storia "principale" è quella ambientata a Tokio, alla quale vengono dedicate molte più pagine e in cui succedono molte più cose. La storia avanza tenendo strettamente il punto di vista sul protagonista, che si trova coinvolto in un complotto di cui né lui né noi riesce a cogliere la grandezza e le implicazioni. Gli succedono cose strane, viene a conoscenza di bizzarre situazioni (tipo scoprire che il sottosuolo è abitato da misteriose e malevole creature invisibili, che però col complotto non c'entrano). Meno agitata è la vita del bibliotecario nell'altro mondo, che soffre un po' del fatto di non poter lasciare la città, e partecipa al complotto della sua ombra per riuscire ad andarsene.

La fine del mondo e il paese delle meraviglie, di Haruki Murakami (1985) recensione
Posso solo sperare che questa sia davvero la copertina di un'edizione giapponese del libro

Entrambe le storie sembrano avanzare in modo confuso, come se l'autore avesse continuato a inserire "cose" mentre andava avanti senza sapere bene dove voleva andare a parare. Questo è meno evidente nella parte di Tokio, dove questa confusione è giustificata dai misteri del complotto che dovrebbero svelarsi un po' per volta, e per il quale però arriva un lunghissimo e noiosissimo (e pure un po' confuso) spiegone verso la fine.

Il ritmo è sempre lento, perfino le scene d'azione risultano lente, e il tutto risulta noioso e vago. La parte peggiore è il finale, o meglio il lunghissimo epilogo che segue alle ultime pagine in cui succede qualcosa. 70,80 pagine (ma percepite molto di più) piene del nulla assoluto. Oh, ho capito benissimo l'intento dell'autore, e immagino che a qualcuno questa roba potrebbe anche piacere. Ai masochisti,per esempio.

La qualità della prosa e un vago interesse per capire dove si voleva andare a parare mi ha spinto a continuare la lettura fino alla fine, ma con fatica e senza trarne soddisfazione una volta terminato, anzi, quel terribile finale mi ha quasi fatto dimenticare quel poco di buono che c'era prima. E' il primo libro che leggo di questo autore, e mi sa che sarà l'ultimo.



Ora e per sempre, di Ray Bradbury (2012) recensione

Ora e per sempre, di Ray Bradbury (2012)

E' stata pubblicata in Italia nel 2012 (negli USA nel 2007), ma è in realtà una raccolta di due racconti lunghi, o romanzi brevi che dir si voglia, Da qualche parte suona un'orchestrina, del 2007, e Leviatano 99, del 1968.

Credo che sia la prima volta che leggo un libro di Ray Bradbury che non mi piace. E sì che si tratta di uno dei miei autori preferiti.

Ora e per sempre, di Ray Bradbury (2012) recensione
Ora e per sempre, di Ray Bradbury (2012) recensione

In Da qualche parte suona un'orchestrina seguiamo la vicenda di un giornalista che, seguendo alcuni indizi, giunge in una cittadina isolata, chiaramente accogliente ma anche piena di misteri.
La trama occupa ben poco spazio in questo racconto, nel quale a prendere con forza il timone in mano è piuttosto la scrittura di Bradbury. 
Soverchiante ed eccessivo, lo stile di scrittura dell'autore sembra qui non essere più al servizio della storia che racconta ma diventarne il principale motivo d'interesse. Sembra quasi da parte di Bradbury un esercizio di stile, un modo per ricordare a tutti che lui è il più bravo e basta.
Se la scrittura non riesce a ipnotizzarci (con me non ci è riuscita, ma magari l'ho solo letto nel momento sbagliato) allora il racconto non riesce a superare il giudizio di "discreto".

Ora e per sempre, di Ray Bradbury (2012) recensione
Ora e per sempre, di Ray Bradbury (2012) recensione

Anche per Leviatano 99 il discorso è simile. Si tratta di una riscrittura di Moby Dick in chiave fantascientifica, viaggiano su astronavi e danno la caccia a comete. Per il resto, però, la storia è molto simile, e di conseguenza è fortissima la sensazione di deja vu. Alla quale va aggiunto uno stile di scrittura perfino più pomposo, barocco, magniloquente, e qualsiasi altro sinonimo o semi-sinonimo vi venga in mente. Non sono riuscito a finirlo.

Il mio amore per Ray Bradbury rimane inalterato, ma neanche lui può scrivere solo capolavori, si vede.

Il Moro



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