Salve a tutti, è Il Moro che vi parla!
Il meritevole Cassidy del blog La bara volante (che vi consiglio di seguire se non lo fate già) sta facendo un lungo viaggio negli innumerevoli film di John Woo, il regista orientale più amato dall'occidente, il maestro indiscusso dell'azione, il profeta dello spreco immotivato di proiettili.
Cassidy mi ha chiesto di indagare nel mondo dei videogiochi, per scoprire se
il prolifico John Woo ha messo mano (e pistole) anche lì. Questo articolo va quindi online a blog unificati, per cui ne trovate una copia identica su La Bara Volante.
Purtroppo l'apporto di John Woo al mondo videoludico è limtato, ma quelo che c'è è abbastanza succoso.
Cominciando dall'inizio, John Woo viene citato nei ringraziamenti di due videogiochi nella seconda metà degli anni '90. Sin della Activision, del 1998, insieme a svariati altri artisti (da Marilyn Manson a George Lucas a Van Damme e molti altri, per lo più gruppi musicali), e nel famosissimo Diablo della Blizzard, del 1996, insieme a Jackie Chan, Rumiko Takahashi e Chow Yun-Fat. Non è dato sapere "perché" sia stato ringraziato, si sa che i ringraziamenti di solito sono solo generiche citazioni ad artisti che in qualche modo hanno ispirato gli autori, a volte anche solo permettendo loro di rilassarsi un po' in pausa pranzo.
Diablo lo conoscete tutti, è un videogioco fantasy basato
interamente sull'esplorazione di diversi piani di un sotterraneo, in
prospettiva isometrica. Ci sono 15 piani generati proceduralmente più un
ultimo piano fisso. Man mano che si scende i nemici si fanno più pericolosi,
se si muore si ricomincia dall'inizio ma mantenendo se non ricordo male
oggetti e denaro raccolti, poi ci sono quest secondarie e altre cose che in
seguito sono entrate nello standard per i videogiochi di ruolo su PC.
Ricordo
di averci giocato e di aver quasi scassato il mouse (in effetti fu uno dei
primi videogiochi a utilizzare il mouse) perché a ogni colpo bisognava premere
il tasto sinistro (in giochi simili più moderni il personaggio dopo il primo
imput continua a colpire da solo fino alla morte dell'avversario), quindi era
una continua smitragliata con conseguente forte rischio di infiammazione del
tunnel carpale!
Certo che con lo stile di John Woo c'entra proprio poco,
a meno di non contare la quantità esagerata di frecce che sprecavo contro i
nemici.
Video di Gameplay, anche se lo conoscete già tutti:
Sin è universalmente meno noto, si tratta di uno sparatutto in
prima persona di ambientazione cyberpunk, nel quale interpretiamo un membro di
una compagnia di sicurezza privata (come in Nathan Never, l'ordine viene
gestito da agenzie private) che indaga su un'altra compagnia simile che però
sembra essere coinvolta in attività illecite.
Ovviamente si spara un
sacco, ma a parte lo spreco di piombo comune a tutti gli sparatutto non ci
sono meccaniche particolari che possano ricordare i film di John Woo.
Il
gioco ha avuto un'espansione intitolata SiN: Wages of Sin (nella
quale il cattivo è un mafioso italiano di nome Gianni Manero), e un seguito
nel 2006 intitolato Sin: episodes, che avrebbe dovuto essere il primo
di una saga di 9 ma è rimasto singolo.
Nel 2000 è stato anche
prodotto un film d'animazione intitolato Sin: The Movie, la cui trama è
solo riprende solo in parte quella del videogioco. L'anime, dallo stile
decisamente anni '90, è
disponibile interamente su Youtube.
Ed ecco anche qui un video di gameplay.
L'influenza dei film di John però si fa sentire per davvero nel mondo dei
videogiochi, anche se gli autori degli stessi non sempre si sentono in dovere
di ammettere l'ispirazione né di ringraziare il regista. Chi può resistere
alla tentazione di dare una pistola per mano al proprio personaggio e farlo
volare in giro sventagliando piombo?
C'è una serie di videogiochi, in
particolare, che sembra diretta da John Woo stesso dal primo episodio
all'ultimo: Max Payne.
Il primo episodio esce nel 2001.
Si tratta di un videogioco con una
componente narrativa importante, in stile noir, con il protagonista intento a
lottare contro un'organizzazione criminale responsabile della diffusione di
una nuova droga, droga che ha portato alla morte di sua moglie e sua figlia,
uccise da delinquenti sotto gli effetti della stessa. La storia ovviamente è
molto più complessa di così, ma non è il caso di addentrarcisi maggiormente in
questa sede.
Nel secondo episodio, Max Payne 2: The Fall of Max Payne del 2003, ritroviamo Max in prigione, accusato della morte di un collega (in realtà ucciso dal "cattivo" del primo episodio per incastrarlo) e di essersi fatto giustizia da solo dopo aver rinunciato al distintivo e distrutto l'intera organizzazione a suon di piombo. Ci vuole poco però perché un alleato potente riesca ad ottenere la scarcerazione e il reintegro in servizio, così che possa iniziare per Max Payne una nuova missione contro una nuova organizzazione.
Nell''ultimo episodio della serie, Max Payne 3 del 2012, Max è stato messo in pensione anticipata (per i troppi cadaveri che usa seminare in giro, si presume) e lo ritroviamo qualche anno dopo in Brasile, intento a fare la guardia del corpo per una ricca famiglia, che durante una festa viene attaccata da un commando intenzionato a rapirne alcuni membri. Questo è l'inizio di una nuova, complessa vicenda che prevede comunque il solito mucchio di morti con buchi nel petto.
Si noti che nel primo episodio i volti dei personaggi sono ricalcati su alcuni
degli sviluppatori del gioco, in particolare il game director Sam Lake è il
volto di Max e sua madre quello del cattivo! Nel secondo il volto del
protagonista è modellato su quello dell'attore Timothy Gibbs e nel terzo
su James McCaffrey, che gli presta anche la voce in tutti e tre i
giochi.
I primi due episodi sono caratterizzati dall'avere inserti in
stile fumetto per mandare avanti la storia e collegare le scene. Non ho
trovato purtroppo il nome dell'autore dei disegni. I fumetti si possono
leggere integralmente e gratuitamente a
questo link.
Questa
caratteristica è andata persa nel terzo episodio, che preferisce le classiche
cutscene realizzate con lo stesso motore grafico del gioco. E' uscito però un
fumetto con il prequel della storia di Max Payne 3 scritto dallo
stesso Sam Lake.
Nel 2008 è uscito anche un film ispirato al videogioco, con Mark Wahlberg nel ruolo di Max, che riprende la storia del primo episodio della serie. L'ho visto ma ammetto di ricordarne ben poco. Vi metto qui sotto il trailer. Il film non ha avuto grande successo, ma ha il pregio di aver rispettato lo stile del videogioco, soprattutto graficamente, riprendendo l'aspetto delle pagine di fumetto dei primi due episodi.
Caratteristica comune a tutti i videogiochi della serie, dicevamo, è una
narrativa complessa, con svariati flashback, e un protagonista cupo e
disilluso, eternamente depresso e problematico (con tanto di abuso di alcool e
antidolorifici) per via della morte della sua famiglia e di svariati altri
amici incontrati lungo la strada.
Quello dove è più evidente
l'ispirazione a John woo, però, è il gameplay.
La serie di Max Payne ha il pregio di introdurre per la prima volta nel mondo
dei videogiochi quello che è divenuto noto come "bullet time", già reso
famosissimo nel mondo dal film Matrix del 1999.
Premendo
l'apposito tasto, Max si tuffa in avanti, di lato o all'indietro e il tempo
rallenta mentre noi possiamo prendere la mira e sparare in tempo reale. Spesso
con un'arma per mano.
E' altamente probabile che la decisione di sviluppare un videogioco basato sul bullet time sia figlia del successo di questa tecnica in Matrix, uscito due anni prima, ma invece che in chiave fantascientifica gli autori lo declinano in un modo che è proprio del cinema di John Woo e non solo. D'altronde lo stesso Rob Nelson, art director di Rockstar Games, ha dichiarato in un'intervista che "La singola più grande influenza sull'originale Max Payne non sono stati, in effetti, i film noir, ma i film d'azione di Hong Kong, in cui il gioco delle armi era sia potente che molto bello".
Il termine "bullet time" è ora un marchio registrato di Warner Bros, produttori di Matrix, ma comunque lo si chiami dopo Max Payne è stato usato in svariati videogiochi.Anche nel film di Max Payne i rimandi al cinema di John Woo appaiono abbastanza evidenti, Max non si fa troppi problemi a correre e sparare con un'arma per mano, saltare al rallentatore e demolire pareti e suppellettili da ufficio a pistolettate. Si veda per esempio questa scena dove tutto svolazza intorno al protagonista, che non può non ricordare le sparatorie dei film di Woo.
L'occidente videoludico si stava quindi appropriando dello stile action di Hong Kong. Ma cosa pensava di questo John Woo, che di questo tipo di cinema è il portabandiera?
Non ho trovato il testo completo di quest'intervista né indicazioni su quando
sia stata fatta (presumo in occasione dell'uscita del suo gioco), quindi posso
solo riportare questo stralcio trovato in siti di notizie videoludiche:
"...Ho avuto modo di vedere come il mio stile fosse imitato in molti
videogiochi, neppure fatti troppo bene. Ho così pensato di proteggere il mio
marchio producendo video games che fossero miei"
Questo pensiero l'avrebbe portato a fondare la Tiger Hill Entertainement.
Le informazioni su questa casa produttrice sono vaghe e contraddittorie, sicuramente sta dietro al primo videogioco di cui stiamo per parlare e probabilmente anche alla web serie animata 7 Brothers, firmata sempre da John Woo. Parrebbe che sia anche dietro a svariati videogiochi il cui sviluppo non è mai stato terminato (sempre in collaborazione con altro produttori più famosi), tra cui è da segnalare Demonik, che avrebbe dovuto essere sceneggiato e diretto da Clive Barker. Demonik avrebbe dovuto far parte di un franchise che avrebbe compreso anche un film e una serie a fumetti, tutto finito in fumo. Altre voci dicono che a essere diretto da John Woo avrebbe dovuto essere il film, su soggetto e design di Clive Barker.
Barker e Woo insieme? Mi sembra che c'entrino come i cavoli a merenda, ma sarei stato comunque curioso di vedere cosa ne sarebbe potuto uscire fuori. Dovrò tenermi la curiosità, ormai. Ci rimane il trailer del gioco, dove si vede un poliziotto fare un po' di guns akimbo e usare poteri paranormali.
Ed eccoci quindi al 2007, anno di uscita di
Stranglehold, prodotto in collaborazione con
Midway.
Il gioco, uscito su PC, Xbox 360 e PS3, è in effetti il seguito
diretto di Hard Boiled.
Oltre che come produttore, John Woo
risulta accreditato anche come regista (insieme a Brian Eddy e Martin Stoltz,
quest'ultimo regista delle cutscene, entrambi professionisti del mondo dei
videogiochi), mentre la sceneggiatura è di John Jarrell, sceneggiatore
cinematografico (Romeo deve morire, The Man with the Iron Fists 2 e poca altra roba).
John Woo si ritaglia anche una piccola parte
nel ruolo di Mr. Woo, un personaggio secondario.
Le notizie sullo sviluppo ci parlano di una maratona di film di Woo da parte
delle 30 persone del team (poi salite a 50), per poter riprodurre nel gioco lo
stesso feeling delle pellicole.
Nella fase di promozione è stato indetto
un concorso per filmaker dilettanti per realizzare un corto nello stile di
John Woo. Purtroppo non ho trovato traccia del corto che ha vinto.
Un nuovo caso per Tequila, il protagonista di Hard Boiled anche
qui interpretato da Chow Yun-Fat. L'attore non si è prestato per il motion
capture ma il suo corpo e il suo viso sono stati scannerizzati digitalmente,
inoltre sono state prese fotografie per le diverse espressioni del viso. Ha
anche doppiato il protagonista.
Il buon Tequila continua ad essere
allergico alle regole e all'autorità, e a prendere le sue indagini sul
personale andando a ficcarsi praticamente da solo in una lotta tra la mafia
russa e le triadi. E, sì, c'è una trama che si evolve durante il gioco, ma è
più o meno come per Hard Boiled: la storia (per quanto ben raccontata)
è la scusa che ci serve per mettere in scena le sparatorie.
E anche in versione digitale, ecco Chow Yun-Fat nella posa degli eroi della Bara. |
La formula del gameplay è praticamente la stessa di Max Payne, ragion per cui
sono ovviamente fioccati i confronti. E a vederlo in movimento questo gioco
sembra davvero un rifacimento di Max Payne senza gli elementi più noir, il che
è ingiusto se si pensa che Max Payne stesso è chiaramente il rifacimento
videoludico dei film di Woo.
Il protagonista può entrare in bullet time,
che però è marchio registrato e quindi qui viene chiamato "Tequila time", in
qualsiasi momento, saltando e spianando le sue due pistole per fare una strage
al rallentatore. Ma qualcosa in più rispetto a Max Payne bisognava metterlo, e
gli autori hanno optato per l'interattività ambientale, in linea con i film a
cui si ispirano. Ogni nostra sventagliata di piombo causerà una notevole
quantità di distruzione nell'ambiente, con fogli che volano, suppellettili
distrutte, tavoli rovesciati e quant'altro, in un turbine di roba in
movimento. Non ci sono ripari che possono reggere a lungo a una cascata di
proiettili, né per i nostri avversari né per noi, quindi spostarsi sempre e
sparare senza sosta è essenziale. Alcuni oggetti possono poi essere fatti
esplodere o cadere per danneggiare gli avversari. Inoltre oltre a essere quasi
completamente distruttibile l'ambiente è anche interattivo: troviamo molto
spesso degli oggetti con cui interagire in modi particolari e spettacolari, ad
esempio appendendoci ai lampadari o scivolando lungo corrimano di scale o su
carrelli, come nelle corrispondenti scene di Hard Boiled.
Abbiamo
poi anche la modalità "face off" (occhiolino occhiolino) in cui Tequila viene
circondato da nemici, l'inquadratura si avvicina e bisogna farli fuori tutti
schivando letteralmente le pallottole e magari usando anche elementi dello
scenario contro di loro.
Guidare Tequila in questo tornado di distruzione
è divertentissimo, ma il gioco ha avuto un successo limitato, per via di una
durata scarsa, di un design poco ispirato nei livelli più avanzati e alcuni
problemi grafici: se gli ambienti e tutti gli oggetti in movimento sono
fantastici, non lo sono altrettanto i modelli dei personaggi, in particolare
nelle cutscene, e l'apporto limitato di Chow Yun-Fat per la realizzazione del
suo personaggio si vede nel risultato finale, visto che i suoi movimenti
risultano spesso scattosi e innaturali e le sue espressioni strane e
"finte".
Da provare comunque per tutti gli amanti del cinema di John Woo.
E dal 2007 saltiamo al 2014 con
Bloodstroke.
Realizzato da Chimera
Entertainement (da soli? In collaborazione con la Tiger Hill? C'è chi dice una
cosa e chi l'altra) è uno sparatutto per piattaforme Android e IOS. In realtà
nel Play Store non si trova, probabilmente è stato ritirato o non è più
commercializzato in Europa.
Non è chiaro nemmeno quale sia stato
l'effettivo apporto di John Woo al progetto, ma il gioco è anche conosciuto
come Bloodstroke - A John Woo Game, quindi almeno il nome e la faccia
ce li ha messi di sicuro.
La trama è ai limiti del non pervenuto: interpretiamo Mai Lee, nome in codice
Lotus, un'infallibile guardia del corpo incaricata di scortare un medico
perseguitato dalle triadi. Questo significa che il gioco consta interamente di
percorsi inquadrati con visuale dall'altro nei quali il medico corre
stupidamente dal punto di partenza al punto di arrivo, e noi dobbiamo
difenderlo dagli attacchi di decine di assalitori.
Il medico è il
bersaglio ed è piuttosto fragile, in compenso l'eroina è praticamente
invincibile, indistruttibile, l'unico modo di perdere è che ci ammazzino il
dottore.
La signorina Lotus quindi corre avanti e indietro per queste
schermate cercando di far fuori gli avversari prima che questi eliminino il
medico, sparando come una matta di solito con una pistola per mano, ma si
possono acquistare nuove armi tra un livello e l'altro.
Quello su cui conta soprattutto questo gioco è lo stile. Dopo un'introduzione in stile fumetto (che, sì, ricorda un po' i primi Max Payne) anche il gioco mantiene questo aspetto, l'ambiente è interamente in bianco e nero e disegnato in modo da sembrare realizzato con l'inchiostro. Gli unici elementi di colore sono il rosso del soprabito della protagonista e quello del sangue dei nemici che viene sparso abbondantemente.
La stilosità appare però essere uno dei pochi se non l'unico punto di forza
del gioco. La protagonista è invincibile, e dato che abbattere i nemici da
vicino con le armi bianche garantisce un punteggio molto maggiore quello che
finiremo per fare sempre sarà correre addosso ai nemici e finirli in questo
modo. Tutto eccessivamente semplice ed eccessivamente monotono, come monotoni
sono dopo poco gli scenari, i nemici e le situazioni.
Bloodstroke quindi non riesce ad essere nulla di più che un giochino per cellulari,
buono per qualche sessione sul cesso e nulla più. Peccato che
dall'associazione al nome di John Woo non sia uscito nulla di meglio.
E questo è tutto quanto sono riuscito a scovare riguardo al rapporto tra John Woo e i videogiochi! Al solito, se qualcuno ha altre o diverse informazioni si senta libero di parlarne nei commenti!
Il Moro
Figurati, sempre lieto di contribuire! Bro-fist doppio e al rallentatore!
RispondiEliminaMax Payne lo ricordo per la locandina con lo slogan "a man with nothing to lose" o qualcosa del genere e per il bullet time. Ero convinto che nei videogiochi fosse stato introdotto con Enter the Matrix ma invece hai ragione tu, quest'ultimo è del 2003.
RispondiEliminaNoto solo oggi, dopo soli 22 anni, che il cognome si pronuncia come "pain", Massimo Dolore 🤣
Interessante la faccenda dei volti e il fumetto gratuito per il terzo capitolo, gli do un'occhiata.
Il film anche io lo ricordo a malapena. Mi sa che non sono arrivato neanche alla fine...
Stranglehold non era male e i era anche piaciucchiato. Me lo ero fatto prestare da mio cugino ma non sono certo di averlo mai finito, nonostante dici che dura poco. Durante la generazione PS3 gli action sfrenati mi avevano già altamente rotto le palle.
Beh, john Woo non poteva mettere il suo nome in altro che degli action sfrenati!
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