Salve a tutti, è Il Moro che vi parla!
I due giochi di cui voglio parlarvi oggi hanno parecchie cose in comune: sono entrambi del 2019, sono entrambi platform in 2D, entrambi piuttosto semplici da portare a termine, ed entrambi parlano di argomenti maledettamente tristi.
Gris
Diciamo la verità: all'inizio Gris è una vera palla.
Stavo già lamentandomi della stampa di settore che lascia recensioni entusiastiche gridando al capolavoro per giochi che capolavori non sono, ma devo dire che andando avanti le sensazioni migliorano.
Gris è un platform surreale, dove niente sembra avere un senso logico. La protagonista, muta e di cui non conosciamo nulla, si muove in un mondo onirico e fantastico. Niente trama, niente nemici, ambientazine onirica: ce n'è a sufficienza per creare una pretenziosa cagata.
E in effetti questa è la sensazione dell'inizio del gioco, quando ci si limita ad andare sempre avanti senza niente da fare che guardare questi fondali disegnati con un certo stile. Stile nemmeno particolarmente originale, le strutture arabeggianti non sono di certo una novità e le aree forestali mi hanno ricordato molto il cartone animato francese Floopaloo.
Fortunatamente andando avanti le cose migliorano, quando avanzare si fa un po' più complicato (mai troppo, il gioco è facilissimo) e soprattutto quando viene sfruttata la natura onirica dell'ambientazione per ottenere interessanti scelte di design. Livelli in parte capovolti in cui si gioca a testa in giù, piattaforme che compaiono solo quando non le si guarda e cose così, che rendono il gioco più interessante.
Un gioco bello da guardare, quindi, grazie al suo stile grafico particolare, un po' meno da giocare, ma in grado di dare comunque qualche soddisfazione. Certo, siamo ben lontani dalle lodi sperticate che ha ricevuto.
Il punto è che questo gioco ha la sua forza nei simbolismi. Il tutto va reinterpretato alla luce dell'uso dei colori e delle architetture, sapendo che in realtà si tratta, probabilmente, di un'allegoria sulla caduta nella depressione di una ragazza dalla voce splendida che però diventa muta (non è tutto lì, ma la cosa diviene un po' più chiara solo a fine gioco e solo se si riesce a raccogliere tutti gli oggetti opzionali). Ecco quindi che le varie sezioni di gioco rappresentano le varie fasi dell'accettazione della perdita.
Chi si approccia a questo gioco deve però sapere queste cose, e capire che la sfida principale non è non cadere in qualche baratro (comunque non ce ne sono, come non ci sono nemici: niente può danneggiare la protagonista), quanto piuttosto cercare di capire il criptico, anzi cripticissimo messaggio che l'autore ha nascosto nel gioco. Bisogna cioè non concentrarsi sulle singole sessioni di gioco, sulla particolare piattaforma su cui saltare, sull'enigma da risolvere o sulla torre da scalare (tutti compiti comunque estremamente semplici), ma su tutto l'insieme. Il level design non va giudicato nel particolare ma nel macroscopico. Non interessa come sono disposte le piattaforme di un livello, ma le sensazioni generali che quel livello da mentre ci si gioca e dopo che lo si è finito.
Da questo punto di vista, Gris è un gioco sopraffino. Ma io, forte del mio animo totalmente insensibile, questi simbolismi o non li ho visti o li ho trovati con estrema difficoltà. La sensazione è quindi che sia davvero troppo criptico.
Non va insomma considerato un videogioco come lo si intende solitamente, ma come una forma d'arte, come quando andate a vedere le mostre d'arte moderna e vi fermate a vedere un'opera di cui non capite il significato, ma sapete che il significato c'è e siete consapevoli che il limite è vostro.
Questo è quindi il gioco ideale di cui parlare per poter fingere di essere delle persone migliori, quello di cui non si può dire male pena passare per insensibili o per ottusi che non capiscono le metafore.
Quindi, se ci giocate e non lo capite, o se vi fa proprio cagare, tenetevelo per voi e parlatene come del meraviglioso viaggio in una mente disturbata, carico di simbolismi e ipnotico nel suo incedere lento e fluido, coraggioso nel suo negare gli stilemi tipici del videogioco per traformarsi in una forma d'arte. La figa si getterà ai vostri piedi, garantito al limone.
Inmost
Ho iniziato Inmost poco dopo aver finito Gris (e aver scritto il pezzo qui sopra), senza sapere di cosa parlasse, e direi che posso consigliare di non giocarli di fila, perché messi insieme sono più tristi di una domenica pomeriggio passata a compilare il 730.
Il gioco è reso con una pixel art molto raffinata e splendida da vedere, anche se basata su toni di colore smortissimi, quasi solo tonalità di grigio. Ci si alterna al controllo di tre personaggi: una bambina che si muove all'interno di una grande casa, con dei movimenti molto limitati (per riuscire a salire su un tavolo bisogna prima avvicinare una sedia, per dire); un uomo di una certa età che si muove in una specie di cittadina in gran parte distrutta e infestata da ombre in grado di ucciderci in un colpo solo e da cui possiamo solo scappare; e un cavaliere armato di spada che va a caccia delle stesse creature uccidendone a frotte.
La parte dell'uomo di una certa età è la principale e più corposa, oltre che la più complessa. E' un platform con enigmi ambientali, che devono essere risolti per poter andare avanti. Trova la leva per aprire la porta, cose così, ma di solito un po' più complesse. Ma è chiaro fin da subito che la parte della bambina è l'unica che avviene "davvero", mentre le altre due sono una sorta di allegoria di qualcosa che non è chiaro, ma visto il tono cupo e lugubre del tutto e l'atmosfera da fiaba oscura si intuisce che stiamo di nuovo parlando di dolore ed elaborazione del lutto.
La parte della bambina, dicevamo, oltre a essere l'unica realistica è anche la più facilmente comprensibile. Non abbiamo indizi sulla ragione dell'incedere dell'uomo, né sulla natura del luogo in cui si trova. Il cavaliere è il più dirompente, apparentemente invincibile con la sua spada e il rampino che usa con estrema efficenza, e le sue parti sembrano quasi una concessione "action" per far riposare le meningi e muovere i polpastrelli. Nel suo caso abbiamo qualche indizio su cosa sta facendo e dove si trova, complice una voce narrante presente solo in queste sezioni.
Le tre anime del gioco si fondono a creare un tutto di notevole fascino. Ma, davvero, è tutto un po' troppo criptico.
Il titolo è di quelli che si definiscono "fortemente story-driven", dove cioè la storia è più importante del gameplay. Gameplay che non è neanche male, e la relativa semplicità con cui si avanza fa parte della narrazione: agli autori non interessava farci rimanere bloccati in passaggi ostici ma farci progredire alla giusta velocità per svelare la storia.
Cosa succede però? Che le parti della bambina sono le uniche in cui si capisce qualcosa, mentre nelle altre ci si limita ad andare avanti.
Alla fine del gioco c'è una lunga seuenza animata, sempre con la grafica del gioco, che spiega cosa è davvero successo. Una sequenza emozionante, che racconta una storia che rimane dentro anche un bel po' dopo che si è spento il PC. Storia che però non aiuta a capire i riferimenti che posso solo presumere fossero sparpagliati nelle sezioni dell'uomo e del cavaliere, che rimangono criptici se non incomprensibili.
Insomma, Inmost è un gran bel gioco, ma un po' troppo criptico, e per un gioco basato per la maggior parte sulla trama è un difetto. Ma è lo stesso da provare, anche per gli amanti della pixel art che saranno conquistati dalla splendida grafica.
Certo che né questo né Gris sono da giocare per chi è già depresso...
Il Moro
ahaha giuro che è una categoria di cui ignoravo l'esistenza: i "giochi tristi"
RispondiEliminaGià dalle schermate m'è calata la depressione, mi sa che non fanno per me :-P
I "giochi tristi" abbondano tra gli indie, i mezzi moderni permettono di creare videogiochi con relativa semplicità, quindi sono molti gli sviluppatori che decidono di dare al loro lavoro valenze artistiche andando a toccare temi "profondi", che di solito riguardano malinconia e/o depressione, a volte solitudine. Vorrai mica giocare per divertirti, vero? che sei, un bambino? 😉
EliminaConosco di nome solo il primo, a cui vorrei giocarci, ma di certo non pagando...
RispondiEliminaIo sicuramente non l'ho pagato, ma non ricordo più che offerta fosse.
EliminaIn effetti mi sorprende che tu abbia giocato a un titolo come Gris 😝 anche se in passato mi hai fatto scoprire indie belli. L'inizio in effetti lo ricordo lentissimo ma poi, come scrivi, ingrana e a me è piaciuto molto ma non troppo, ero reduce da altri indipendenti molto più belli. Pur adorando "l'arte applicata ai videogame", come la chiamo io, ammetto di aver avuto difficoltà a capire il senso (la recensione l'ho scritta prima di completarlo al 100%).
RispondiEliminaINMOST non lo conoscevo e potrebbe anche piacermi, di indipendenti tristi e malinconici ne ho giocati molti ma non c'è su PS4. Pazienza.
"triste e malinconico" è una caratteristica comune a molti titoli indipendenti, i programmatori di oggi sono gente problematica. 😁
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