Salve a tutti, è Il Moro che vi parla!
E così ho visto Lo Hobbit - La battaglia delle cinque armate, e meno male che è finita anche questa trilogia, che sono andato a vederlo al cinema proprio solo perché ormai avevo visto gli altri due.
Parliamone, e non vi preoccupate degli spoiler: quando non c'è una trama gli spoiler sono impossibili.
Inutile fare paragoni con Il signore degli anelli, la saga che, come maestosità e impatto, più si è avvicinata a Guerre Stellari dopo Guerre Stellari. Sarebbe un po' come confrontare la seconda trilogia di Star Wars con la prima. Ecco, meglio lasciar perdere.
Purtroppo bisogna dire che questo film risulta il meno bello anche della seconda trilogia.
Per quanto ci pensi, mi vengono in mente quasi esclusivamente cose negative. Per non cominciare subito da tutto quello che non va diciamo che non mi sono stufato a stare seduto al cinema per tre ore, indice di un buon ritmo e di un'elevata spettacolarità. Bei combattimenti, sia quelli uno contro uno che quelli campali, eppure anche lì mi sono sembrati migliori quelli degli altri due Lo Hobbit. Splendide scenografie, ma dopo sei film hanno smesso di stupire, e musiche come al solito ottime.
Gli effetti speciali sono come al solito fantastici, gli orchi e tutte le creature in generale sono semplicemente incredibili.
Ma.
Sedetevi con noi e facciamo quattro chiacchiere. No, la birra non ve la paghiamo.
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martedì 30 dicembre 2014
venerdì 26 dicembre 2014
Missione Eterna, di Joe Haldeman - recensione
Salve a tutti, è Il Moro che vi parla!
Dopo lo splendido Guerra Eterna, che ho recensito qui, Haldeman avva promesso di non tornare più su quell'ambientazione e quei personaggi.
Il soldo però chiama, e ci è ricaduto quando gli hanno offerto abbastanza soldi. Come dargli torto?
Dopo il mediocre Pace Eterna, che non è realmente il seguito di Guerra Eterna e del quale vi ho già parlato qui giusto un paio di giorni fa, in Missione Eterna (Forever Free, 1999) Haldeman torna al personaggio di Mandella, con il quale sembra perfettamente affine probabilmente perché in parte autobiografico.
Abbiamo nuovamente una splendida rappresentazione dei rapporti famigliari di Mandella con moglie e figli, attualmente confinati sull'ultimo mondo abitato da esseri umani "normali", visto che al ritorno dalla Guerra Eterna (centinaia di anni dopo la loro partenza, complice il viaggio relativistico) la Terra e tutti i mondi collegati non erano più abitati da umani ma dalla loro evoluzione, l'Uomo, miliardi di cloni identici con memoria di gruppo, distanti dagli umani quasi quanto i Taurani che avevano combattutto fino a poco prima.
Con la galassia in pace non c'è più bisogno di quei vecchi relitti di un'età di odio e di differenze culturali, per cui l'Uomo assegna ai veterani un pianeta (non molto ospitale) su cui vivere e su cui non rompere le scatole.
Dopo lo splendido Guerra Eterna, che ho recensito qui, Haldeman avva promesso di non tornare più su quell'ambientazione e quei personaggi.
Il soldo però chiama, e ci è ricaduto quando gli hanno offerto abbastanza soldi. Come dargli torto?
Dopo il mediocre Pace Eterna, che non è realmente il seguito di Guerra Eterna e del quale vi ho già parlato qui giusto un paio di giorni fa, in Missione Eterna (Forever Free, 1999) Haldeman torna al personaggio di Mandella, con il quale sembra perfettamente affine probabilmente perché in parte autobiografico.
Abbiamo nuovamente una splendida rappresentazione dei rapporti famigliari di Mandella con moglie e figli, attualmente confinati sull'ultimo mondo abitato da esseri umani "normali", visto che al ritorno dalla Guerra Eterna (centinaia di anni dopo la loro partenza, complice il viaggio relativistico) la Terra e tutti i mondi collegati non erano più abitati da umani ma dalla loro evoluzione, l'Uomo, miliardi di cloni identici con memoria di gruppo, distanti dagli umani quasi quanto i Taurani che avevano combattutto fino a poco prima.
Con la galassia in pace non c'è più bisogno di quei vecchi relitti di un'età di odio e di differenze culturali, per cui l'Uomo assegna ai veterani un pianeta (non molto ospitale) su cui vivere e su cui non rompere le scatole.
martedì 23 dicembre 2014
Pace Eterna, di Joe Haldeman
Salve a tutti, è Il Moro che vi parla!
Come dichiarato dall'autore anche all'inizio del libro, Pace eterna non è il seguito di Guerra Eterna (che ho recensito qui), ma ne riprende le tematiche.
Il mondo è diviso in due: ricchi e poveri. Da una parte i paesi "occidentali", che hanno a disposizione le nanoforge, simili ai replicatori di Star Trek ma più lente, con il conseguente benessere a prezzo stracciato, e dall'altra il resto del mondo, che più di un tempo deve lottare per un pezzo di pane.
Seguiremo un soldato statunitense impegnato nella guerra contro i ribelli Ngumi. La caratteristica delle nuove truppe occidentali è che il soldato non rischia in prima persona, ma si collega a livello neurale con un robot, "telecomandandolo" a tutti gli effetti. altra particolarità è che il collegamento neurale è condiviso, quindi tutti i membridi un plotone quando sono in azione sono collegati tra loro come se fossero un uomo solo.
Buona parte del libro è occupata dalla storia d'amore tra il protagonista nero e la sua compagna, bianca e di una decina d'anni più anziana, situazione malvista dalla società. Come a dire che anche nel futuro questo genere di pregiudizi non morirà mai. Per poter stare con il suo compagno ad un nuovo livello, condividendo pensieri ed emozioni, lei deciderà di farsi impiantare clandestinamente un impianto per il collegamento neurale, ma l'operazione non andrà a buon fine.
Per il resto, ci si concentrerà molto sugli sviluppi portati dalla possibilità di interconnettere le menti e sulle sue conseguenze. Tralasciando invece le nanoforge, che ogni tanto saltano fuori giusto per ricordarci che esistono.
Come dichiarato dall'autore anche all'inizio del libro, Pace eterna non è il seguito di Guerra Eterna (che ho recensito qui), ma ne riprende le tematiche.
Il mondo è diviso in due: ricchi e poveri. Da una parte i paesi "occidentali", che hanno a disposizione le nanoforge, simili ai replicatori di Star Trek ma più lente, con il conseguente benessere a prezzo stracciato, e dall'altra il resto del mondo, che più di un tempo deve lottare per un pezzo di pane.
Seguiremo un soldato statunitense impegnato nella guerra contro i ribelli Ngumi. La caratteristica delle nuove truppe occidentali è che il soldato non rischia in prima persona, ma si collega a livello neurale con un robot, "telecomandandolo" a tutti gli effetti. altra particolarità è che il collegamento neurale è condiviso, quindi tutti i membridi un plotone quando sono in azione sono collegati tra loro come se fossero un uomo solo.
Buona parte del libro è occupata dalla storia d'amore tra il protagonista nero e la sua compagna, bianca e di una decina d'anni più anziana, situazione malvista dalla società. Come a dire che anche nel futuro questo genere di pregiudizi non morirà mai. Per poter stare con il suo compagno ad un nuovo livello, condividendo pensieri ed emozioni, lei deciderà di farsi impiantare clandestinamente un impianto per il collegamento neurale, ma l'operazione non andrà a buon fine.
Per il resto, ci si concentrerà molto sugli sviluppi portati dalla possibilità di interconnettere le menti e sulle sue conseguenze. Tralasciando invece le nanoforge, che ogni tanto saltano fuori giusto per ricordarci che esistono.
venerdì 19 dicembre 2014
Bartoli, Carnevale, Recchioni: storie a caso.
-NOTA-
ho terminato di scrivere questo post, originariamente programmato per il 7 di ottobre, il giorno prima di sapere della morte di Lorenzo Bartoli. Per evitare che qualcuno mi accusi di voler attirare pubblico approfittando della morte dell'autore ho rimandato la pubblicazione fino a questo momento.
A parte questa nota, il post è rimasto come l'avevo scritto, come mi sembra giusto che sia. Non me ne voglia il signor Bartoli se parlo di lui "da vivo".
Salve a tutti, è Il Moro che vi parla!
Abbiamo parlato di Orfani, di Recchioni con copertine di Carnevale, in lungo e in largo su questo blog... pure troppo, forse. Trovate tutti gli articoli qui.
Qui abbiamo parlato anche di John Doe, realizzato da Recchioni e Bartoli ai testi e sempre con copertine di Carnevale.
E oggi dedichiamo un altro articolo a questi tre artisti parlando di loro opere meno conosciute. Cosa ne dite? Partiamo!
I colori di Carnevale è una raccolta di storie brevi, uscita nel 2003 e pubblicata dalla Eura editoriale in due volumi.
Come sempre succede con le raccolte, non tutte le storie sono allo stesso livello. Purtroppo, però, nessuna riesce a raggiungere un livello di eccellenza. Non ce n'è nessuna brutta, ma nemmeno nessuna superlativa. Forse il problema è che sono davvero troppo corte, non dando al lettore il tempo di affezionarsi ai personaggi o di comprendere appieno l'ambientazione. Non sono brutte, eh, ripeto, ma nemmeno memorabili.
Quelli che sono memorabili sono i disegni (e i colori, ovviamente) di Massimo Carnevale. Carnevale ha uno stile che trascende il fumetto per sconfinare nella pittura. La struttura a racconti permette a Carnevale di sbizzarrirsi variando spesso lo stile di disegno Volti particolareggiati e perfetti su sfondi sfumati, colori che tenui o forti che sembrano stare stretti nelle linee imposte loro dal disegno, fisionomie realistiche che si alternano a visi grotteschi. Splendidi.
ho terminato di scrivere questo post, originariamente programmato per il 7 di ottobre, il giorno prima di sapere della morte di Lorenzo Bartoli. Per evitare che qualcuno mi accusi di voler attirare pubblico approfittando della morte dell'autore ho rimandato la pubblicazione fino a questo momento.
A parte questa nota, il post è rimasto come l'avevo scritto, come mi sembra giusto che sia. Non me ne voglia il signor Bartoli se parlo di lui "da vivo".
Salve a tutti, è Il Moro che vi parla!
Abbiamo parlato di Orfani, di Recchioni con copertine di Carnevale, in lungo e in largo su questo blog... pure troppo, forse. Trovate tutti gli articoli qui.
Qui abbiamo parlato anche di John Doe, realizzato da Recchioni e Bartoli ai testi e sempre con copertine di Carnevale.
E oggi dedichiamo un altro articolo a questi tre artisti parlando di loro opere meno conosciute. Cosa ne dite? Partiamo!
I colori di Carnevale è una raccolta di storie brevi, uscita nel 2003 e pubblicata dalla Eura editoriale in due volumi.
Come sempre succede con le raccolte, non tutte le storie sono allo stesso livello. Purtroppo, però, nessuna riesce a raggiungere un livello di eccellenza. Non ce n'è nessuna brutta, ma nemmeno nessuna superlativa. Forse il problema è che sono davvero troppo corte, non dando al lettore il tempo di affezionarsi ai personaggi o di comprendere appieno l'ambientazione. Non sono brutte, eh, ripeto, ma nemmeno memorabili.
Quelli che sono memorabili sono i disegni (e i colori, ovviamente) di Massimo Carnevale. Carnevale ha uno stile che trascende il fumetto per sconfinare nella pittura. La struttura a racconti permette a Carnevale di sbizzarrirsi variando spesso lo stile di disegno Volti particolareggiati e perfetti su sfondi sfumati, colori che tenui o forti che sembrano stare stretti nelle linee imposte loro dal disegno, fisionomie realistiche che si alternano a visi grotteschi. Splendidi.
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martedì 16 dicembre 2014
Riddick, recensione
Salve a tutti, è Il Moro che vi parla!
Pitch Black fu probabilmente il miglior emulo di Alien mai uscito. Il suo seguito, Chronicles of Riddick, scelse di prendere una strada diversa con una versione più dark e tamarra di Guerre Stellari. Guardabile, ma soffriva molto il confronto con il predecessore, nonostante il budget decisamente superiore.
Tredici anni dopo Pitch Black ecco il terzo capitolo della saga, intitolato semplicemente Riddick. Ma non hanno capito che chi si augurava un ritorno alle origini intendeva nel senso della qualità, non della trama!
Riddick viene tradito dai Necromonger di cui era diventato il capo (una cultura dove basta uccidere il re per prendere il suo posto... quanto dura in media un sovrano? Mezz'ora?) e abbandonato su un pianeta selvaggio e disabitato. E così ecco azzerato quanto visto nel secondo capitolo, e lasciatemi dire che lo trovo un peccato.
Sul pianeta in questione tamarreggia per un po', poi trova per inspiegabile botta di culo una specie di stazione di rifornimento, presumo una specie di autogrill spaziale, nella quale attiva il radiofaro facendosi riconoscere per attirare qualche cacciatore di taglie, con l'intenzione di rubargli l'astronave.
E poi saltano fuori anche dei mostri senza occhi, che a differenza di quelli di Pitch Black invece che col buio escono solo quando piove, come le lumache.
Pitch Black fu probabilmente il miglior emulo di Alien mai uscito. Il suo seguito, Chronicles of Riddick, scelse di prendere una strada diversa con una versione più dark e tamarra di Guerre Stellari. Guardabile, ma soffriva molto il confronto con il predecessore, nonostante il budget decisamente superiore.
Tredici anni dopo Pitch Black ecco il terzo capitolo della saga, intitolato semplicemente Riddick. Ma non hanno capito che chi si augurava un ritorno alle origini intendeva nel senso della qualità, non della trama!
Riddick viene tradito dai Necromonger di cui era diventato il capo (una cultura dove basta uccidere il re per prendere il suo posto... quanto dura in media un sovrano? Mezz'ora?) e abbandonato su un pianeta selvaggio e disabitato. E così ecco azzerato quanto visto nel secondo capitolo, e lasciatemi dire che lo trovo un peccato.
Sul pianeta in questione tamarreggia per un po', poi trova per inspiegabile botta di culo una specie di stazione di rifornimento, presumo una specie di autogrill spaziale, nella quale attiva il radiofaro facendosi riconoscere per attirare qualche cacciatore di taglie, con l'intenzione di rubargli l'astronave.
E poi saltano fuori anche dei mostri senza occhi, che a differenza di quelli di Pitch Black invece che col buio escono solo quando piove, come le lumache.
venerdì 12 dicembre 2014
Corpo a corpo, di Iain Banks. Recensione.
Salve a tutti, è Il Moro che vi parla!
Finora ho letto due libri di Banks: questo Corpo a corpo (The Bridge, 1986, che già allora in Italia si cambiavano i titoli accazzo, ditemi cosa c'entra quello italiano con il romanzo, e la stessa cosa vale per la copertina) e La mente di Schar (Consider Plebhas, 1987), che ho recensito qui.
Le differenze tra i due romanzi sono tali che mi viene la mezza idea che firmarne uno come Iain Banks e l'altro come Iain M. Banks indichi effettivamente una doppia personalità.
La mente di Schar è una serie rocambolesca di avventure spaziali frenetiche, dove succede di tutto, con un protagonista sfigato che per tutto il tempo non fa altro che correre, sparare e rotolare.
Corpo a corpo, invece, è un libro molto lento, riflessivo, profondo. Non è nemmeno fantascienza, non esattamente, potremmo metterlo nel filone del weird, al massimo.
Finora ho letto due libri di Banks: questo Corpo a corpo (The Bridge, 1986, che già allora in Italia si cambiavano i titoli accazzo, ditemi cosa c'entra quello italiano con il romanzo, e la stessa cosa vale per la copertina) e La mente di Schar (Consider Plebhas, 1987), che ho recensito qui.
Le differenze tra i due romanzi sono tali che mi viene la mezza idea che firmarne uno come Iain Banks e l'altro come Iain M. Banks indichi effettivamente una doppia personalità.
La mente di Schar è una serie rocambolesca di avventure spaziali frenetiche, dove succede di tutto, con un protagonista sfigato che per tutto il tempo non fa altro che correre, sparare e rotolare.
Corpo a corpo, invece, è un libro molto lento, riflessivo, profondo. Non è nemmeno fantascienza, non esattamente, potremmo metterlo nel filone del weird, al massimo.
martedì 9 dicembre 2014
Wasteland Weekend, l'evento al quale VOLETE partecipare!
Salve a tutti, è Il Moro che vi parla!
C'è un posto dove volete andare, anche se ancora non lo sapete. Parlo a voi, nerd anziani e appassionati di fantascienza anni '80/'90.
Sì, l'hanno fatto davvero, e continuano a farlo. All'urlo di due combattono, uno vive migliaia di appassionati di Mad Max si incontrano ogni anno dal 2009 nel deserto di Mojave, in California, per vivere qualche giorno postapocalittico.
Costumi postapocalittici. Automobili sporche, tamarrate e piene di buchi. Dune Buggy. Moto con un numero bizaro di ruote. Occhialoni da aviatore. Lanciafiamme. Thunderdome. Psicopatici. Birra. Molta birra. Tizie mezze nude. Altra birra. Riesco a dire solo una cosa: OH YEAH!
venerdì 5 dicembre 2014
Hunger Games - Il Canto Della Rivolta parte 1, recensione.
Salve a tutti, è Il Moro che vi parla!
Ricorderete che ho recensito il primo libro della saga distopica scritta da Suzanne Collins, qui.
Ricorderete anche che ho recensito il primo film qui e il secondo qui.
Non ve lo ricordate? E allora andate subito a rileggere, che poi vi interrogo!
Non posso raccontare nulla della trama, perché essendo un terzo episodio spoilererei tutto a chi non ha visto i primi due. Non che ci sarebbe tutta questa trama da raccontare, comunque.
Come ben saprete il terzo libro della saga è stato diviso in due film, con l'unico scopo di monetizzare. Andiamo, il libro (che non ho letto nè intendo leggere in futuro) è lungo 432 pagine. Il film dura 123 minuti, prendiamo per buona l'ipotesi che il secondo sia altrettanto lungo. Quindi fa poco meno di due pagine per ogni minuto di film.
Siamo sicuri che nel libro succeda così tanta roba che fosse necessario dividerlo in due fillm?
Ricorderete che ho recensito il primo libro della saga distopica scritta da Suzanne Collins, qui.
Ricorderete anche che ho recensito il primo film qui e il secondo qui.
Non ve lo ricordate? E allora andate subito a rileggere, che poi vi interrogo!
Non posso raccontare nulla della trama, perché essendo un terzo episodio spoilererei tutto a chi non ha visto i primi due. Non che ci sarebbe tutta questa trama da raccontare, comunque.
Come ben saprete il terzo libro della saga è stato diviso in due film, con l'unico scopo di monetizzare. Andiamo, il libro (che non ho letto nè intendo leggere in futuro) è lungo 432 pagine. Il film dura 123 minuti, prendiamo per buona l'ipotesi che il secondo sia altrettanto lungo. Quindi fa poco meno di due pagine per ogni minuto di film.
Siamo sicuri che nel libro succeda così tanta roba che fosse necessario dividerlo in due fillm?
martedì 2 dicembre 2014
Xenogears, recensione
Ancora retrogames da queste parti, ancora rpg, e infiniti ringraziamenti a chi ha inventato gli emulatori e a chi fa le traduzioni amatoriali dei giochi mai usciti in italiano
Questa volta parliamo di Xenogears per Playstation 1, nota pietra miliare del gioco di ruolo giapponese.
E' ambientato in un mondo a metà tra fantasy e fantascienza, diviso in due: gli abitanti della superficie sono sottomessi, quando non apertamente in lotta, con gli altezzosi e dalla tecnologia avanzata abitanti delle città volanti. Il protagonista, Fei, da tre anni vive privo di memoria in un villaggio di campagna. Quando questo villaggio viene coinvolto per caso in una battaglia tra gear, robot giganti, appartenenti a due regni in lotta che non hanno nulla a che fare con il villaggio, Fei entra in un gear rimasto privo di pilota, perde il controllo di sè stesso e distrugge lui stesso il villaggio, provocando la morte di molte persone amate. Inizia così il suo viaggio in cerca di sè stesso e della verità sul suo passato, sull'origine sue e dei misteriosi poteri che ha scoperto di avere.
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