martedì 18 marzo 2014

Gilgamesh

Salve a tutti, è Il Moro che vi parla!

Avevo intenzione di parlare del fumetto Gilgamesh, di Robin Wood, ma nel frattempo mi sono anche informato sul personaggio che ha ispirato tale fumetto. Ho quindi pensato di dividere questo post in due, visto l'importanza del materiale che riguarda L'epopea di Gilgamesh.


Gilgamesh, dicevamo, è il protagonista dell'omonima Epopea.
Si tratta di un poema epico sumero, scritto circa 4500 anni fa. Tanti, eh?
Scritto in caratteri cuneiformi su tavolette d'argilla miracolosamente sopravvissute fino a noi, raccoglie varie versioni delle imprese compiute dal mitico quinto re di Uruk, il primo agglomerato urbano al mondo a potersi fregiare del titolo di "città", con i suoi ben 80.000 abitanti nel periodo più prospero, situata nell'attuale Iraq. Ma la leggenda di Gilgamesh ebbe una tale forza da trascendere i confini mesopotamici al punto di venire tradotta per l'Anatolia e la Siria.



Si tratta in effetti di uno dei più antichi, e sicuramente il più importante, dei poemi epici giunti fino a noi dalla più antica civiltà al mondo. Reperti scritti precedenti riguardano contratti e documenti, l'unica storia di fantasia, se così si può chiamare, antecedente è l'Atrahasis, sempre sumero, una raccolta di miti mesopotamici, molti dei quali verranno più tardi ripresi nell'Epopea di Gilgamesh.
La versione della storia che è conosciamo risale probabilmente all'inizio del secondo millennio avanti Cristo, quando sconosciuti autori decisero di raccogliere tutte le varie leggende su Gilgamesh per ottenere una storia coerente.
Purtoppo, tale storia è arrivata a noi incompleta in molte parti.

Gilgamesh che doma un leone. 4000 anni  fa i leoni erano gatti con la criniera?

Gilgamesh è re di Uruk, ed è uno spietato tiranno. Allo stesso tempo, però, per la sua natura per un terzo divina (! Ma come diavolo è possibile?) è un guerriero invincibile. Per porre fine alla sua tirannia, gli dei creano un uomo che possa stargli alla pari, Enkidu. Rozzo e selvatico, allevato dagli animali della foresta, Enkidu si scontra presto con Gilgamesh, ma lo scontro finisce alla pari. Contrariamente alle intenzioni degli dei, tra i due nasce una forte amicizia (e, secondo alcune intrepretazioni, anche un legame omosessuale).
Non è spiegato chiaramente se a questo punto Gilgamesh si trasformi in un buon sovrano o rimanga un bastardo, ma propenderei di più per la prima ipotesi... a meno che quella parte della trama non sia stata semplicemente tralasciata.
I due affronteranno insieme diverse imprese eroiche ma, dopo che Gilgamesh avrà offeso la dea Ishtar rifiutando la sua proposta di matrimonio, gli dei decideranno di punirlo togliendogli Enkidu con l'ausilio di una malattia. E qui ci domandiamo: ma l'avete creato e poi lo fate fuori?

Gilgamesh e Enkidu affrontano il mostruoso Humbaba. I pallini in alto saranno la barra dell'energia?

Comunque, possiamo dire che Enkidu alla fine è servito allo scopo primario che gli avevano assegnato gli dei: gettare Gilgamesh nella più cupa disperazione. Gilgamesh, ormai terrorizzato dalla caducità della vita, decide quindi di intraprendere un pericolo viaggio per apprendere il segreto dell'immortalità da Utnapishtim. Costui è a sua volta protagonista di un mito, che lo vede come unico sopravvissuto al diluvio universale (il quale, come si vede, è un mito ben precedente a quello biblico, tanto che molti studiosi ritengono che derivi da fatti realmente accauto e in seguito ingigantiti) e salvatore dell'umanità.

Noè ehm, Utnapishtm che si prepara al diluvio.

L'immortalità di Utnapishtm è però dovuta ad avvenimenti non ripetibili, che necessitano della grazia degli dei; dei che, come abbiamo visto, non hanno molto in simpatia il re di Uruk. Utnapishtim offre a Gilgamesh una speranza suggerendogli di recuperare una particolare pianta che vive in fondo al mare, ma dopo aver compiuto l'impresa il re distrutto dalla fatica si addormenta, e la pianta gli viene rubata da un serpente (anche qui un'altra analogia con la bibbia, con un serpente come infido nemico).
Qui si interrompe la prima parte della storia di Gilgamesh. Molte tavolette di argilla, a questo punto, sono andate perdute.

Esiste anche un'altra versione della morte di Enkidu.
In qualche modo non molto chiaro, Gilgamesh perde degli oggetti simbolici molto importanti (probabilmente un tamburo e una bacchetta, simboli di potere regale), nel regno degli inferi (e io che mi chiedo sempre come faccio a perdere gli occhiali... Ecco dove vanno a finire!).
Enkidu si offre di andare a recuperarli negli inferi, ma (ovviamente) non segue tutte le regole che gli avrebbero permesso di tornare al mondo dei vivi, rimanendo così bloccato nell'aldilà.

Enkidu viene spesso raffigurato con un paio di corna ben in vista.

In un modo o nell'altro Enkidu è negli inferi, e Gilgamesh, disperato per la perdita, prega gli dei di poterlo rivedere ancora una volta. Le sue preghiere vengono ascoltate e viene permesso all'anima di Enkidu di lasciare gli inferi per un tempo limitato. Enkidu narra quindi a Gilgamesh dell'oltretomba, un luogo orribile dove non si può fare altro che nutrirsi di rimpianti per ciò che non si è riuscito a compiere in vita. Consiglia quindi a Gilgamesh di vivere appieno la sua vita e di generare molti figli, perché è l'unico vero modo di ottenere l'immortalità.


Oltre che su Wikipedia, per approfondire l'argomento potete visitare anche questo link, oppure scaricare il podcast dell'ottima versione "sceneggiata" da Rai Radio 1 per il programma "La storia in giallo". Dura solo tre quarti d'ora e la qualità è ottima.


Come si può vedere, l'epopea ruota intorno alla ricerca dell'immortalità. Questo, unito all'estrema antichità del testo, ha ispirato molte rivisitazioni moderne del mito. Niente di più facile che immaginare che il protagonista del più antico poema della storia abbia davvero ottenuto l'immortalità, no?
Torniamo quindi a parlarne nel prossimo post!

Il Moro

7 commenti:

  1. Lessi la storia da piccolo in un libricino che avevo trovato in un uovo di Pasqua, o qualcosa di simile. Però ricordo poco e, sicuramente, era una versione riscritta per facilitarne la comprensione in una trentina di pagine scritte grandi. Recentemente ho recuperato il libretto Adelphi e prima o poi la leggerò. Fra l'altro l'ho riscoperto, oltre alle mille citazioni, grazie anche a un autore di sword & sorcery che ambienta una sua saga (non infinita) più o meno in quell'area geografica, qualche tempo dopo. Tutto sommato è uno di quei miti che sopravvivono alle epoche e finiscono per essere citati più o meno a proposito o fare da modello a storie più moderne. Attendo la seconda parte!

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    1. Anche Robert Silverberg ha scritto un romanzo su Gilgamesh, nel quale rinarra l'epopea però, se non ricordo male, toglie i riferimenti soprannaturali. Non l'ho ancora letto.
      Il Moro

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  2. Bellissimo post!

    Ho a casa una vecchia traduzione dell'Epopea: la rileggo ciclicamente. Si impara sempre tanto dai modelli fondamentali della narrazione, quelli scritti quando la civiltà era giovane, le persone emotive, il mondo abitato da mostri.

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    1. Il fascino delle origini. Anche ai primordi della civiltà si sentiva il bisogno di narrare delle storie.

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    2. Probabilmente è uno dei bisogno basilari dell'essere umano, al pari di mangiare e bere: ascoltare delle storie.

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  3. Conosco solo la sinossi, un po' quella che hai racontato tu. Interessante, comunque.

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    1. Interessante e affascinante per il tempo che ci separa da chi ha narrato questa storia.

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